«Covid, a Napoli i malati sono più giovani e a molti serve l'ossigeno»

«Covid, a Napoli i malati sono più giovani e a molti serve l'ossigeno»
di Ettore Mautone
Domenica 28 Febbraio 2021, 09:18 - Ultimo agg. 1 Marzo, 08:12
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Tanti casi, quasi trecento ricoverati, un ospedale pieno con pochi posti letto ancora liberi: la maggior parte dei malati ospitati al Cotugno ha la polmonite. Pazienti che hanno tutti necessità di cure intense: terapie collaudate a base di infusioni endovena dell'antivirale Remdesivir e poi il cortisone, l'eparina, altri antinfiammatori, antibiotici quando serve ma come costante il supporto di ossigeno per una prevalenza di manifestazioni polmonari della malattia che dopo pochi giorni dal tampone positivo, quando si esprime son sintomi e febbre, progredisce rapidamente verso l'insufficienza respiratoria. A tracciare lo scenario clinico prevalente, nell'assistenza ai malati Covid-19, è Rodolfo Punzi direttore del dipartimento di infettivologia del Cotugno.

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Che malattia è oggi Covid-19?
«Rispetto agli esordi e anche ai casi della seconda ondata vediamo un'accelerazione della malattia che progredisce rapidamente, dopo l'apparire dei primi sintomi, verso la polmonite. Molti di questi pazienti hanno dunque bisogno di un supporto ventilatorio e di una maggiore intensità di cure che hanno reso ormai quasi tutte le cosiddette degenze ordinarie delle unità sub intensive.

Ecco, notiamo un aumento di un gradino verso la maggiore intensità clinica del Covid».

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Chi sono i pazienti che giungono da voi in pronto soccorso?
«Malati seri, che hanno una polmonite interstiziale bilaterale e che dopo alcuni, pochi giorni di cure a casa, alle difficoltà nel riposo notturno, per la tosse e la febbre, vengono qui e subito hanno bisogno di essere assistiti con ossigeno e talvolta anche intubati appena arrivano. Se è cambiato qualcosa è nella mancanza della gradualità della malattia che poi magari migliora e risponde alla terapie ma non decorre quasi mai in maniera graduale, almeno nei casi da ospedalizzare. Dove prima vedevamo tanti casi con scarsa evidenza di impegno clinico ora ci sono tutti casi di medio-alta gravità».


È colpa delle varianti?
«La variante inglese sta colpendo soggetti più giovani, abbiamo tanti trentenni e quarantenni ricoverati anche qualcuno di 23 o 24 anni. L'età media dei pazienti si è un po' abbassata. C'è chi con la variante inglese guarisce e va benissimo e chi invece peggiora a va subito in intensiva. Ma ci sono anche tanti anziani che ovviamente hanno molti più problemi e complicanze. Casi tutti complessi, seri e difficili».


C'è differenza clinica tra i vari ceppi?
«La mia impressione è che quelli che hanno una malattia che decorre mediamente in maniera più aggressiva hanno effettivamente la variante inglese. Dopo l'esposizione si manifestano subito positivi con una maggiore carica. Anche il quadro clinico progredisce velocemente verso la polmonite con un peggioramento più rapido. C'è un ridotto tempo di benessere. Tutti quelli in progressione veloce al controllo hanno la variante inglese. Però gli esiti non sono molto differenti da un punto di vista statistico».


E la brasiliana?
«È stato un fulmine a ciel sereno che non ci aspettavamo. Nei due casi che abbiamo visto non abbiamo tuttavia notato grandi differenze cliniche. Però sono troppi pochi i casi per tirare le somme e dare un giudizio compiuto. Un raffronto credibile e sostanziato scientificamente richiederà tempo. Quello che notiamo è che tutti i reparti si sono uniformati a un livello superiore di assistenza. La sub intensiva è la tipologia di posti letto non a caso che scarseggia maggiormente e più difficile da reperire nella rete Covid. È raro vedere oggi un paziente che non abbia bisogno di un supporto con ossigeno. Ciononostante i casi di varianti inglese e brasiliana alla fine riescono a superare la malattia nella maggior parte dei casi».


Avete notato qualcosa che accomuna i pazienti giovani e sani che si ammalano in maniera seria?
«Qualcosa sì, molti sono in sovrappeso se non obesi, e anche se giovani questo comporta un maggior rischio».


Cosa bolle in pentola riguardo alle terapie?
«Aspettiamo gli anticorpi monoclonali che l'Aifa ha licenziato per l'uso ospedaliero, ma limitati alle fasi iniziali della malattia. Fasi iniziali che noi qui al Cotugno ormai non vediamo più».


La variante inglese determina anche una maggiore mortalità oltre che contagiosità?
«Gli studi dicono di no, vediamo molti decessi ma probabilmente proprio perché vediamo più casi. Se si ammalano 100 persone in più al netto ne moriranno due o tre in più. Non un picco di decessi, ma una base più larga».

La soluzione a tutto questo?
«Tenere duro con il distanziamento sociale per i prossimi mesi e procedere in maniera ordinata e veloce verso la vaccinazione di massa. Un ombrello protettivo che fa circolare meno virus e che limita anche le varianti».

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