Crisi da Covid e nuovi poveri, riecco le maxi code a Napoli: «Non serve più solo il cibo»

Crisi da Covid e nuovi poveri, riecco le maxi code a Napoli: «Non serve più solo il cibo»
di Maria Chiara Aulisio
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 16:46
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Non solo cibo, se volete davvero aiutare la Caritas servono anche mascherine, guanti, gel disinfettante, vaschette di alluminio, buste biodegrabili e posate monouso. Il Covid ha cambiato pure il volto della povertà. O meglio: ha reso fondamentali cose di cui prima non c'era alcun bisogno e che invece, oggi, è assolutamente indispensabile acquistare. In tanti offrono cibo, e faranno bene a continuare a farlo, ma da quando le mense - ad eccezione di poche realtà - non possono più servire ai loro ospiti il pasto a tavola - tutti seduti uno accanto all'altro come avveniva prima della pandemia - le vaschette di alluminio e le posate usa e getta sono diventate preziose quanto il pane e la pasta. Senza contare poi mascherine, guanti e gel igienizzante che i volontari della Caritas distribuiscono a tutti quelli a cui offrono il cestino. A lanciare l'appello è Giancamillo Trani, vice direttore della Caritas diocesana di Napoli guidata da don Enzo Cozzolino: «La povertà è aumentata, non c'è dubbio - spiega Trani - i nostri indicatori ci mettono di fronte a una realtà diversa: la pandemia ha acuito le difficoltà, ha esasperato le differenze. Ci scrivono perfino i consolati e le rappresentanze diplomatiche per segnalarci i casi di emergenza da seguire. In tre mesi - aggiunge - abbiamo investito 72mila euro per pagare fitti e bollette di chi non avrebbe saputo come fare. E ora ci troviamo a dover fare i conti con altre necessità: abbiamo bisogno dei dispositivi di sicurezza, dei sacchetti dove mettere il cibo che offriamo, dell'alluminio per avvolgere il pane. Materiale che va acquistato perché nessuno ce lo regala e che invece è assolutamente indispensabile». Chi vuole, e può donare, non deve fare altro che mettersi in contatto con la Caritas. 

Il virus ha spazzato via tutte le attività lavorative occasionali, quelle che consentivano a tanti padri di famiglia di guadagnare venti, trenta euro al giorno per andare avanti. Da qui la necessità di mettersi in fila per ricevere il pranzo anche se non sei senza fissa dimora: «La casa ce l'hanno pure, il problema è che poi manca il resto: dal cibo agli abiti, dai soldi per pagare le utenze a tutto quello di cui si ha bisogno per vivere dignitosamente», racconta Antonio Rulli, direttore del centro La Tenda gestito da don Antonio Vitiello alla Sanità.

L'unica realtà che in città garantisce ai senza dimora un'assistenza completa: dalla lavanderia al cambio degli abiti, dall'ambulatorio alla farmacia. Qui, oltre al pernottamento, ogni giorno si serve il pasto a circa cento persone: «I nostri ospiti, vale a dire quelli che hanno pure il posto letto, pranzano in cortile - racconta Rulli - gli altri invece prendono il cestino e vanno via. Facciamo il possibile per accontentare tutti». Mense sempre al lavoro, dunque, file lunghissime come quella di ieri al Carmine sotto il controllo delle forze dell'ordine, organizzazioni solidali pronte a sostituire anche chi non fa la propria parte: «Non ci lamentiamo - dice don Enzo Cozzolino - e andiamo avanti ringraziando di cuore i volontari che ci sostengono dandoci la possibilità di rimanere al servizio dei più deboli. Ora che siamo a Natale mi fa anche piacere ricordare chi durante questa pandemia - per continuare a essere in prima linea - ha perso la vita». Don Enzo pensa a suor Italia, poco più di 70 anni, una vita vissuta tra la Caritas e il carcere di Poggioreale dove ha lavorato fino all'ultimo: «Una donna straordinaria - ricorda don Enzo - non si è mai risparmiata e alla fine ha ceduto sotto i colpi del Covid. Non è stata l'unica, sono tanti i volontari che questo virus ci ha portato via». 

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Niente pranzi di Natale quest'anno. Saltano tutti gli appuntamenti delle feste ai quali i poveri erano ormai abituati. Dalla Galleria Principe di Napoli alla Cattedrale - quando anche il cardinale Crescenzio Sepe serviva a tavola - il Covid ha messo la parola fine alla convivialità: «Purtroppo andrà così - conclude Giancamillo Trani - si trattava in realtà di un momento di condivisione per far vivere la gioia del Natale anche ai meno fortunati. È chiaro che il pranzo lo garantiremo ugualmente a ciascuno di loro, così come facciamo tutti i giorni dell'anno, e anche un regalino non mancherà, purtroppo alla festa dovremo tutti rinunciare».

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