Dodicenne sfregiata a Napoli, don Madonna: «Tragedia collettiva, ora dialogo con i violenti»

Dodicenne sfregiata a Napoli, don Madonna: «Tragedia collettiva, ora dialogo con i violenti»
di Giuliana Covella
Mercoledì 13 Luglio 2022, 08:04
5 Minuti di Lettura

«Questo è un quartiere bellissimo, ma dimenticato. C'è bisogno di un cambiamento culturale radicale. Noi come chiesa ci adoperiamo ogni giorno, ma da soli non possiamo farcela. Ciò che è accaduto è terribile». Padre Michele Madonna, parroco di Santa Maria di Montesanto nell'omonima piazza, è addolorato per il ferimento della dodicenne sfregiata al volto dal fidanzato di 16 anni. Ma nello stesso tempo arrabbiato per il «mancato intervento» di una «rete di soggetti che devono mettere da parte colori politici e protagonismi a livello mediatico».

La ricetta per il sacerdote è una sola: un tavolo interistituzionale non solo locale ma nazionale. Alla guida della parrocchia di piazza Montesanto da 10 anni, don Michele è parroco di altre due chiese di rioni difficili: Santa Maria Ognibene ai Sette Dolori ai Quartieri Spagnoli e San Liborio alla Carità. Ex disc-jockey, continua a fare proseliti con le sue iniziative contro criminalità e devianze che vedono coinvolto l'universo giovanile. Sua l'idea del primo Rave 4 Christ, l'evento di musica dance cristiana organizzato lo scorso sabato 2 luglio.

Padre, come ha reagito di fronte alla notizia dello sfregio di cui è rimasta vittima una bambina di 12 anni?
«Ho provato tanto dolore.

Tutto ciò è terribile. Ma c'è da fare una premessa».

Quale?
«Dobbiamo chiederci tutti: come si è arrivati a questo? Nessuno ne parla mai, eppure il problema di base è sotto gli occhi di tutti. Vale a dire il peggioramento forte della società e dei suoi valori sani dopo il Covid».

Che cosa intende dire?
«Dopo due anni trascorsi tra isolamento forzato e restrizioni varie imposte dall'emergenza sanitaria tuttora in corso, chiesa e mondo del terzo settore stavano portando avanti un buon lavoro per restituire fiducia e punti di riferimento ai nostri ragazzi. Poi si è arrivati alla fase del ritorno alla normalità (o quasi) e sono iniziate le difficoltà, perché evidentemente non ci si è organizzati o meglio preparati in maniera adeguata ad affrontare i cambiamenti e le problematiche psicologiche dei giovanissimi. E ora stiamo raccogliendo i frutti negativi di questa situazione che non si è stati capaci di gestire e prevenire col post pandemia».

Qual è il contesto sociale in cui lei opera?
«In parrocchia ricevo centinaia di famiglie, genitori, mamme che, non solo in confessione, esternano il loro bisogno di essere ascoltati, i loro ostacoli quotidiani nell'educazione dei figli, le ristrettezze economiche e i disagi psicologici che devono affrontare poiché il Covid ha influito tantissimo sulle coscienze, specie quelle dei ragazzi. Stiamo raccogliendo dei disastri, come dimostra questo episodio che ha sconvolto la nostra comunità».

 

Com'è possibile che si arrivi a commettere un gesto simile a quell'età?
«Dopo due anni chiusi in casa i ragazzi sono esplosi. O meglio sono proprio scoppiati. Perché sono venute meno le loro figure-guida: oltre ai genitori, gli insegnanti, gli assistenti sociali e i volontari delle associazioni. Di conseguenza come unico punto di riferimento hanno i social e la loro realtà, che poi realtà non è. Non solo. Hanno modelli negativi. Puntano sugli abiti griffati, sul denaro, sul potere, quindi sull'ostentazione di un benessere che è effimero ma che loro esaltano».

Di chi è la responsabilità?
«Dei genitori che non li seguono più, perché sono presi dalle difficoltà quotidiane. Questo è il vero dramma». 

Che cosa si dovrebbe fare, secondo lei?
«Basta con i soliti interventi tampone. Bisogna sederci intorno a un tavolo con noi parroci, il sindaco e tutte le istituzioni a livello locale e nazionale, mettendo da parte il desiderio mediatico di far parlare di sé solo per apparire alla tv. Occorre piuttosto fare rete e cercare soluzioni urgenti senza protagonismi tra i vari partiti politici, per dettare le linee guida per il contrasto a quella che è una chiara emergenza sociale ed educativa». 

Veniamo al sedicenne che ha sfregiato la dodicenne. Una modalità di aggressione che richiama alla mente quella dei guappi dell'800. Cosa ne pensa?
«Sono gli effetti disastrosi dei film e delle fiction di oggi, dove c'è l'esaltazione del male, dove si inneggia al camorrista sia al cinema che in televisione. Dove la storia del criminale piace e viene emulata in tutte le sue forme. Ecco di cosa i nostri ragazzi purtroppo hanno fatto indigestione e si sono abbuffati. Per questo è ora di intervenire anche sul piccolo e grande schermo con risposte qualitative che insegnino ai minori a emulare miti come Padre Pio o Madre Teresa di Calcutta piuttosto che un boss di mafia o camorra».

La Chiesa in questo contesto che ruolo può svolgere?
«Bisogna ritornare agli oratori. Noi a Montesanto lo abbiamo fatto nella sede dell'istituto Bianchi attiguo alla nostra chiesa con oltre 300 bambini e per tre settimane siamo riusciti a coinvolgere anche i genitori, da cui si deve partire per salvare i figli. Un'esperienza che contiamo di ripetere in inverno e vorremo ripetessero in altre zone».

Ha incontrato la ragazzina rimasta ferita?
«Ho incontrato alcuni suoi parenti. Quel che è accaduto è una tragedia per entrambe le famiglie. Anche il ragazzino che ha commesso lo sfregio è una vittima, pure la sua è una vita distrutta. Ma vanno guidati e a noi spetta il compito di farlo. Soprattutto ho chiesto di incontrare al più presto la ragazza, che mi è stato detto abbia una ferita molto profonda».

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