La sfida di don Peppino a Pomigliano: una sartoria in chiesa per aiutare le donne in difficoltà economica

La sfida di don Peppino a Pomigliano: una sartoria in chiesa per aiutare le donne in difficoltà economica
di Pino Neri
Venerdì 22 Ottobre 2021, 23:45 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 19:20
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Cira e Armanda sono pomiglianesi e sono cattoliche. Maneggiano per la prima volta le macchine per cucire insieme con Monika, una donna rom originaria della zona balcanica, e Anissa, giovane musulmana proveniente dal Magreb. Religioni molto diverse e patrie molto distanti tra loro ma uno stesso desiderio: imparare la difficile “arte” della sartoria per trovare finalmente lavoro. Cira, Armanda, Mina e Anissa fanno parte di un gruppo di una decina di donne afflitte dalla piaga della disoccupazione, della povertà e, in qualche caso, della solitudine scaturita da storie familiari molto difficili, intrise di disagio economico e psicologico. Ma a Pomigliano queste donne hanno tutte trovato un motivo concreto per andare avanti: la “Sartoria San Felice”, nata dal progetto “Il filo dell’amore”. Il laboratorio di cucito è stato fatto allestire da don Peppino Gambardella nei locali della sua parrocchia, accanto alla chiesa che porta il nome del santo patrono di Pomigliano, San Felice appunto. Qui le maestre sarte Annamaria, Elisa, Lucia e Cristina stanno insegnando alle novelle apprendiste i segreti del mestiere. Faro dell’iniziativa è un imprenditore del Vomero, Raffaele. «Adesso non dovete fare altro che rimboccarvi le maniche», incoraggia le allieve del laboratorio.

L’imprenditore che ha promosso la realizzazione della sartoria, sospesa tra progetto imprenditoriale e occasione di relazioni umane, non è mosso da interessi economici. Frequenta anche lui la comunità parrocchiale di San Felice in Pincis. È partito da un’osservazione acuta. Ha individuato una fetta di mercato abbordabile: il settore dell’”aggiusto”. «Raffaele – spiega don Peppino – ci ha detto che al Vomero ha notato molti negozi di abbigliamento che hanno bisogno di far aggiustare i capi. Spesso però non trovano i sarti e le sarte in grado di soddisfare le loro continue richieste. La nostra idea è stata quindi di creare un laboratorio per dare un mestiere alle donne di tutte le nazioni e di tutte le religioni che qui soffrono le stesse pene, disoccupazione, solitudine, povertà». Donne che stanno già imparando a fare pieghe, a stringere o allargare vestiti, a mettere cerniere. «L’analisi di Raffaele – racconta Carmela Piscitelli Peluso, coordinatrice del laboratorio – è stata confermata dalle nostre maestre di sartoria.

Ci hanno detto che il mercato dell’aggiusto effettivamente esiste e che spesso loro sono costrette a rifiutare lavoro perché ne hanno troppo». In ogni caso, mai porsi limiti: «Magari – il desiderio di Carmela – un giorno potremo arrivare a produrre un capo completo». 

Per allestire il laboratorio si è mobilitata l’intera comunità parrocchiale di San Felice. «Il marito e i figli della signora rom che sta imparando a cucire – racconta ancora don Peppino – hanno fatto tutto l’impianto elettrico della struttura e hanno anche riattato i locali, insieme con altri componenti della comunità». La potenziale forza lavoro inserita nel programma di formazione si sta intanto allargando. «Mi è appena giunta una richiesta d’ingresso - annuncia Carmela - si tratta di una ragazza che purtroppo sta per separarsi dal marito. Farà parte della nostra squadra». Non sarà facile. Imparare questo mestiere richiede tempo e una pazienza infinita. C’è però tanto ottimismo. «Sono contenta – confessa una delle apprendiste – finalmente sono uscita dalla solitudine, dall’isolamento. Qui possiamo imparare un lavoro: ci hanno dato una speranza. Speriamo di poter costituire una cooperativa, una volta imparate a sufficienza almeno alcune tecniche». Di certo, un primo obiettivo è stato raggiunto dal “filo dell’amore”: quello di far stare insieme persone che fino a pochi giorni fa erano sole». 

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