Castellammare, si giustificano così:
«Falò anti-pentiti? Una bravata»

Castellammare, si giustificano così: «Falò anti-pentiti? Una bravata»
di Dario Sautto
Mercoledì 27 Febbraio 2019, 09:00
3 Minuti di Lettura
«Niente camorra, volevamo solo attirare l'attenzione e vincere la sfida con gli altri rioni». Si sono giustificati così i tre giovani del rione Savorito che, la notte dell'Immacolata, hanno appiccato il fuoco ad un falò illegale, bruciando un manichino impiccato e lo striscione con scritto «così muoiono i pentiti, abbruciat». Un chiaro messaggio della camorra di Castellammare, due giorni dopo gli arresti eccellenti ai vertici di clan D'Alessandro, Cesarano, Di Martino e Afeltra, che gestiscono il malaffare nell'area stabiese e dei monti Lattari.

RITORNO A CASA
L'accusa di istigazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso regge all'interrogatorio di garanzia, ma che il gip di Napoli «ridimensiona», revocando la misura cautelare dell'obbligo di dimora fuori dalla Campania, sostituendola con il semplice obbligo di firma in commissariato. Francesco Imparato, 24 anni, Antonio Artuso, appena 18enne, e Fabio Amendola, di 31 anni e unico con precedenti, sono tornati a Castellammare dopo meno di una settimana, come richiesto dal loro avvocato, Francesco Schettino. A stabilirlo, dunque, è lo stesso giudice che li aveva mandati fuori dai confini regionali, rivalutando l'intera vicenda dopo averli ascoltati. Si sono scusati, ma ovviamente non si sono detti pentiti, i tre giovani del «bronx» Faito. Volevano «attirare l'attenzione» e, purtroppo, ci sono riusciti in pieno, «vincendo» l'assurda gara dei «fucaracchi» della camorra contro quartieri più blasonati da quel punto di vista, come Scanzano, Centro Antico, Acqua della Madonna, e ancora le palazzine del Cmi, il Cicerone e gli altri rioni in cui la notte tra il 7 e l'8 dicembre scorsi sono stati appiccati falò illegali da gruppi più che vicini ai clan. E loro, quelli del «bronx», sono riusciti anche ad attirare l'attenzione dei media nazionali, riuscendo a portare il nome degli Imparato famiglia storicamente vicina al clan D'Alessandro alla ribalta italiana.

 
Imparato è anche il cognome di uno degli organizzatori del falò illegale. Francesco è il figlio di Michele, detto «zì Peppe», il fratello del più noto Salvatore «'o paglialone», ritenuto dall'Antimafia il capozona del rione. «A Salvatore Imparato raccontano i collaboratori di giustizia il quartiere ha dedicato anche la statua di Padre Pio». Un'enorme riproduzione del santo di Pietrelcina, alta tre metri, che si staglia nel cuore del bronx, alle spalle dell'ex fabbrica dell'Aranciata Faito. Eppure, la tradizione stabiese di cui la camorra si è appropriata da decenni potrebbe passare, ora, come una semplice «bravata» di un gruppo di ragazzi, tra cui due minorenni per i quali la Procura competente non ha chiesto nessuna misura cautelare.

DUE MINORENNI
Resta fortemente inquietante il messaggio in perfetto stile omertoso lanciato dalla pira di legno quella notte, proprio mentre partiva il concerto del neomelodico Tony Marciano, nome più volte «chiacchierato», molto vicino agli ambienti del clan Gionta e tornato sui palcoscenici da meno di due anni, dopo un periodo trascorso in carcere per vicende inerenti al traffico di droga. E proprio lui, Marciano, quella sera ringraziò il capozona, perché «grazie a Salvatore» Imparato si svolse quella festa, totalmente abusiva e illegale. Per i due minorenni, intanto, non ci saranno provvedimenti, almeno per ora. Uno è figlio di uno dei pusher di spicco al soldo degli Imparato, l'altro è uno studente, figlio di incensurati. «Se al termine della vicenda i due minorenni sapranno che si scrive bruciati e non abbruciati commenta il consigliere di opposizione, Tonino Scala vorrà dire che avremo, non dico vinto, ma almeno pareggiato la partita. Le camorre si sconfiggono assoldando un esercito di maestri».
© RIPRODUZIONE RISERVATA