Femminicidio, la mamma di Stefania:
«Dite basta alla violenza»

Femminicidio, la mamma di Stefania: «Dite basta alla violenza»
di Giuliana Covella
Mercoledì 19 Ottobre 2022, 15:08
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Aveva gli occhi «del colore simile a quello del mar Ionio», come ricorda sua madre Adriana. «Cambiavano tonalità, ma erano sempre chiari. Poi però sono stati spenti e sono diventati grigi come la sua vita». A sei anni di distanza il dolore si rinnova per la morte di Stefania Formicola, uccisa a Sant’Antimo il 19 ottobre 2016 a 28 anni dal marito Carmine D’Aponte. L’uomo non si rassegnava all’idea che la moglie, stanca delle sue continue violenze, lo avesse lasciato. Oggi però si rinnova anche la necessità di fare memoria e soprattutto di far sì che quella morte non sia stata vana. Ma che sia da monito per altre donne che non riescono ad uscire dal baratro della violenza. Stefania ha lasciato due figli, di 7 e 10 anni, che adesso vivono con i nonni Adriana e Luigi e che non smettono di ricordare la loro mamma scomparsa prematuramente.

«Sono passati sei anni da quel maledetto giorno - dice Adriana - in cui mia figlia è morta per mano del marito, di colui che avrebbe dovuto amarla, rispettarla e proteggerla.

Invece alle 6.30 del mattino con un colpo di arma da fuoco al cuore le ha tolto la vita. Stefania aveva ancora tanto amore da dare, soprattutto ai suoi bimbi, che tutte le sere guardando il cielo dicono “ecco, quella è mamma, la stella più bella”». In questi anni Adriana non ha mai smesso di lottare per tutelare le tante vittime di violenza che non trovano il coraggio di uscire dal silenzio. «Mi scrivono ogni giorno sui social e mi confidano ciò che sono costrette a subire. Stefania è morta perché non ha saputo chiedere aiuto al momento giusto ed è andata al famoso ultimo appuntamento, quello con la morte. Ecco cosa non deve accadere più».

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A ricordare la tragedia che ha colpito la sua famiglia insieme ad Adriana c’è il marito Luigi: «Oggi è un mercoledì, proprio come sei anni fa. Siamo tristi, stiamo cercando di indossare una maschera come facciamo quotidianamente, affinché i nostri nipoti non capiscano il dolore che proviamo. Noi la ricordiamo non solo nelle nostre preghiere, ma anche agli altri, con le tante iniziative nelle scuole, con le associazioni, con le panchine rosse a lei intitolate, perché la sua fine non sia stata vana, ma serva piuttosto a far capire alle altre donne che devono dire basta agli uomini violenti, chiedere aiuto e salvarsi».

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