Aveva gli occhi «del colore simile a quello del mar Ionio», come ricorda sua madre Adriana. «Cambiavano tonalità, ma erano sempre chiari. Poi però sono stati spenti e sono diventati grigi come la sua vita». A sei anni di distanza il dolore si rinnova per la morte di Stefania Formicola, uccisa a Sant’Antimo il 19 ottobre 2016 a 28 anni dal marito Carmine D’Aponte. L’uomo non si rassegnava all’idea che la moglie, stanca delle sue continue violenze, lo avesse lasciato. Oggi però si rinnova anche la necessità di fare memoria e soprattutto di far sì che quella morte non sia stata vana. Ma che sia da monito per altre donne che non riescono ad uscire dal baratro della violenza. Stefania ha lasciato due figli, di 7 e 10 anni, che adesso vivono con i nonni Adriana e Luigi e che non smettono di ricordare la loro mamma scomparsa prematuramente.
«Sono passati sei anni da quel maledetto giorno - dice Adriana - in cui mia figlia è morta per mano del marito, di colui che avrebbe dovuto amarla, rispettarla e proteggerla.
A ricordare la tragedia che ha colpito la sua famiglia insieme ad Adriana c’è il marito Luigi: «Oggi è un mercoledì, proprio come sei anni fa. Siamo tristi, stiamo cercando di indossare una maschera come facciamo quotidianamente, affinché i nostri nipoti non capiscano il dolore che proviamo. Noi la ricordiamo non solo nelle nostre preghiere, ma anche agli altri, con le tante iniziative nelle scuole, con le associazioni, con le panchine rosse a lei intitolate, perché la sua fine non sia stata vana, ma serva piuttosto a far capire alle altre donne che devono dire basta agli uomini violenti, chiedere aiuto e salvarsi».