Gianni Melillo procuratore di Napoli: «C'è una borghesia camorrista all'ombra dei clan»

Gianni Melillo procuratore di Napoli: «C'è una borghesia camorrista all'ombra dei clan»
di Federico Monga
Sabato 8 Maggio 2021, 12:00 - Ultimo agg. 9 Maggio, 10:35
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L'arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia, in una intervista al Mattino, ha chiesto ai parroci di Napoli «di uscire da ogni ambiguità nella battaglia contro la camorra: niente compromessi, niente situazioni di comodo, ma avanti - se è necessario - fino al martirio». 

Dottor Giovanni Melillo, dal suo osservatorio di capo della procura, ha verificato ambiguità e compromessi nella società civile, a proposito di lotta alla camorra?
«Le parole, chiare e forti, del nuovo arcivescovo di Napoli costringono tutti ad interrogarsi. Soprattutto chi finge di non scorgere il ruolo cruciale di quella borghesia camorrista cresciuta nell'ombra degli affari e delle trame corruttive dei clan e sembra accorgersi della camorra solo quando essa spara, talvolta anche per ricordare agli smemorati la sua incancellabile matrice violenta».

Dalle inchieste della procura di Napoli emergono casi di preti o parroci che voltano lo sguardo dall'altra parte di fronte a richieste delle famiglie di camorra? E se sì, avviene per paura? O per quieto vivere? O in alcuni casi anche per connivenza?
«Di singoli casi non conviene parlare. In generale, la criminalità mafiosa non esita ad usare anche la ritualità religiosa e la devozione come strumenti di controllo sociale. Anche in questo caso, le parole del vescovo che i napoletani stanno imparando a chiamare Don Mimmo aiutano a scorgere i rischi di quello che, in non pochi casi, è un vero e proprio dirottamento di pratiche e simboli religiosi verso la difesa e l'ostentazione di un potere criminale che si è troppo a lungo nutrito anche di tolleranza, giustificazioni e persino di commistioni. Le parole del vescovo di Napoli dimostrano come la Chiesa sappia riconoscere bene le sfumature e i pericoli di quel fenomeno e come possa essere importante, per tutti, al di là di ogni convinzione religiosa, un'azione pastorale di effettivo supporto all'etica della legalità e di costante vigilanza sulle pratiche devozionali».

Quale è la funzione, al di là del ricordo dei morti, dei murales e degli altarini per la criminalità organizzata?
«Murales ed altarini consentono la rinnovazione quotidiana di un rito di iniziazione del camorrista di strada ed insieme l'esaltazione del controllo mafioso del territorio. Esattamente come avviene nelle città colombiane o messicane disseminate di murales dedicati agli esponenti di questo o quel cartello di narcos. Nessuna città al mondo merita simili oltraggi. Certamente non lo merita Napoli».

Altarini e murales in memoria di rapinatori, criminali e camorristi da anni capeggiano nemmeno tanto nascosti per le vie di Napoli, perché c'è voluto così tanto tempo per affrontare questa Spoon River della camorra. Cosa è cambiato in questi ultimi mesi?
«È semplicemente affiorato in tutta la sua estensione e gravità un fenomeno che non pochi consideravano con indifferenza o comunque sottovalutavano. Anche per questo, forse, molti cittadini guardavano a quelle ostentazioni di potere criminale con la rassegnazione propria di chi è costretto quotidianamente ad assistere a mille abusi e soprusi. Il dibattito pubblico che ne è nato ha certo aiutato a costruire un clima di larga condivisione, istituzionale e sociale, di iniziative non più dilazionabili. Ma anche su questo terreno l'impegno delle istituzioni dovrà rinnovarsi ogni giorno. Nulla sarebbe peggio del ritrovarsi dinanzi a nuovi altarini e murales in luogo di quelli finalmente rimossi».

Secondo Monsignor Battaglia dividersi anche sui murales e gli altarini della camorra non fa altro che favorire i clan? Cosa si sente di dire a chi, artisti, scrittori e professionisti, ha firmato l'appello per non cancellare il murales di Ugo Russo.
«Il mio ufficio non ha motivo di occuparsi della sorte di quel murales, perché assai diverso da quelli dedicati a celebrazioni di riti e miti criminali.

Siamo invece impegnati a rendere al più presto possibile, anche nel caso dell'uccisione di quel giovane rapinatore, una risposta ad una domanda di verità e giustizia che, conviene sempre ricordare, può aversi soltanto attraverso il processo, nel contraddittorio e nel rispetto dei diritti di tutte le persone coinvolte».

In questi primi quattro anni da procuratore di Napoli ha sottolineato (in commissione antimafia e in altri contesti istituzionali), la presenza sul territorio di una camorra che solo apparentemente è una lotta polverizzata tra di baby gang o una galassia di gruppetti sparsi. I grandi clan quindi non sono scomparsi?
«Non solo non sono scomparsi, ma, per quanto segnati dal peso di una lunga stagione di intensa azione repressiva dello Stato, sono intenti a svilupparsi e ad integrarsi fra loro, condividendo l'obiettivo di gestire senza inutili conflitti le opportunità di speculazione offerte dalle costellazioni di imprese che ruotano attorno ai vertici dei clan. Proprio perché lontana dai rigidi modelli organizzativi di altre mafie, la camorra ha una straordinaria capacità di continua rigenerazione ed espansione affaristica, anche nelle altre regioni italiane e nei mercati internazionali. Molti si affannano a stilare classifiche di pericolosità delle mafie, quasi ci fosse una speculare graduatoria di tollerabilità dei fenomeni mafiosi. Per questa via si perdono di vista i processi di integrazione dei mercati e delle strutture criminali a livello nazionale e globale, nei quali la camorra gioca un ruolo importante».

Più volte ritorna il tema della guerra a bassa intensità tra Alleanza di Secondigliano e il cartello dei Mazzarella: questo confronto vede coinvolti anche pezzi della borghesia cittadina?
«Naturalmente, la realtà è sempre pronta a smentirci, ma anche la strategia dei conflitti a bassa intensità fra quella storiche aggregazioni criminali sembra da tempo aver ceduto il passo alla logica della convivenza e degli affari comuni. Sempre con la consapevolezza di poter essere smentiti dai fatti, le azioni violente e gli omicidi degli ultimi anni e quelle più recenti sembrano inscriversi in una logica di epurazioni interne ovvero di competizione fra gruppi minori che tentano di farsi spazio nel controllo di singole zone, ma agendo comunque nell'orbita di influenza e indirizzo del vertice di quello che effettivamente appare un sistema camorristico. Facendo leva sul concorde impegno e la grande professionalità di tutte le forze di polizia, è da tempo in atto un particolare sforzo di ricostruzione della rete di alleanze e vincoli criminali che regge la condizione di supremazia nell'intera area metropolitana di quei cartelli camorristici, essenziale anche per controllare, per quanto possibile, il pericolo sempre in agguato di impazzimento violento delle dinamiche criminali. In generale, sembra consolidata la scelta dei grandi cartelli camorristici di non permettere di far turbare oltre misura la silenziosa gestione di comuni interessi criminali. Anche in questa prospettiva, è assolutamente cruciale indagare sui rapporti di contiguità che saldano le strategie mafiose con le logiche, i canali fiduciari e le tecniche della corruzione e delle frodi largamente praticate dal mercato e nel mercato. Come sul consolidato condizionamento mafioso e sulla pressione corruttiva esercitata su amministrazioni pubbliche e delicate funzioni istituzionali».

Il questore Alessandro Giuliano, recentemente intervenuto in una intervista sul Mattino, ha detto che a Napoli si parla poco di camorra, nonostante il radicamento dei clan. Qual è il suo giudizio?
«Mi pare un giudizio obiettivo e misurato, per quanto dal sapore amaro. In effetti, si avverte talvolta persino una sorta di fatica a pronunciare quella parola fuori dei confini della cronaca giudiziaria. La camorra sembra relegata in una dimensione esclusivamente repressiva dell'azione dello Stato. Quasi come se la gravità della questione criminale non chiamasse in causa l'insieme delle politiche pubbliche necessarie al risanamento urbanistico ed ambientale, come allo sviluppo del tessuto produttivo dell'area metropolitana e alla messa mettere in campo di progetti straordinari di contrasto di un dilagante analfabetismo funzionale e del degrado di un patrimonio di piazze, strade, scuole, edifici residenziali, silenziosamente affidato alle mani della camorra, così rafforzandosi l'amaro convincimento di molti della ineluttabilità di una gigantesca governance illegale, apertamente sostitutiva di quella che la legge affida alla pubblica amministrazione».

La pandemia ha piegato l'economia. Le mafie davvero si stanno comprando gran parte delle attività ormai sull'orlo del fallimento? Quali sono i settori più esposti?
«Il pericolo appare grande ed assai concreto nei settori maggiormente colpiti della distribuzione commerciale e del comparto turistico-alberghiero e della ristorazione, ma anche in quelli delle infrastrutture sanitarie e del mercato immobiliare. I dati dimostrano un rilevante calo delle denunce di estorsione e usura. Probabile che una parte della spiegazione di ciò risieda nella pratica inutilità per i gruppi camorristici di ricorrere a questi tradizionali delitti, una volta raggiunto l'obiettivo dell'acquisizione del controllo diretto di imprese sfiancate dalla crisi».

Tra pochi mesi arriveranno in Italia e in tutto il Sud decine di miliardi di euro, stanziati dai piani europei per ripartire dopo la pandemia. Cosa si deve fare per evitare che questo tesoro, come avvenne dopo il terremoto del 1980, finiscano nelle mani della criminalità organizzata?
«Abbiamo da tempo segnalato la gravità del pericolo di un imponente trasferimento di risorse pubbliche ad imprese permeate di interessi illeciti, finanziando evasori e truffatori seriali, quando non anche fiduciari del crimine organizzato. Lavoreremo insieme al nuovo ufficio del Procuratore Europeo chiamato ad esercitare l'azione penale per i reati che offendono gli interessi finanziari dell'Unione Europea per contrastare quel rischio. Si tratta di un pericolo assai concreto e nella nostra realtà particolarmente acuto, oltre che per la particolare debolezza che storicamente caratterizza la pubblica amministrazione nelle regioni meridionali, anche per la farraginosità, ai confini della pratica dissolvenza, delle funzioni di controllo amministrativo e per la diffusa lentezza della macchina giudiziaria chiamata ad accertare la responsabilità di abusi e ruberie. Anche la magistratura napoletana sarà chiamata ad uno sforzo straordinario, per garantire l'effettività della promessa costituzionale di processi di ragionevole durata, essenziale per la stessa credibilità della giurisdizione, soprattutto nei settori (i reati di corruzione, ambientali, tributari, societari) che rivelano l'agire spregiudicato dei tanti colletti bianchi sempre pronti ad ingrossare le fila della borghesia camorristica. Un'ingiustificata lentezza delle procedure giudiziarie inevitabilmente contribuisce ad indebolire nei cittadini quel sentimento di fiducia nello Stato che è fra i principali antidoti contro le ambiguità e i compromessi che il Vescovo Battaglia ci invita a ripudiare». 

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