Dalla pretura di Barra alla lotta ai clan: chi è Melillo, il nuovo procuratore di Napoli

Dalla pretura di Barra alla lotta ai clan: chi è Melillo, il nuovo procuratore di Napoli
di Gigi Di Fiore
Venerdì 28 Luglio 2017, 09:38 - Ultimo agg. 29 Luglio, 11:59
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Ha sempre avuto quella sicurezza nel carattere che, sin dai primi passi in magistratura, lo ha fatto sentire sempre una spanna al di sopra degli altri. Un limite, dice chi lo conosce bene, ma anche la molla principale dei suoi successi. Di certo Gianni Melillo, neo procuratore capo dell'ufficio requirente più grande d'Italia a soli 57 anni e mezzo, le sue capacità le ha dimostrate da subito, con costanza e meticolosità nello studio e negli obiettivi che si era prefisso di raggiungere.

Sin dal concorso in magistratura, dove risultò tra i primi in Italia. Lui, foggiano d'origine ma napoletano d'adozione, si è fatto poi le ossa in una Pretura che è stata bottega di formazione importante, ideologica e professionale: quella, diventata argomento di mitizzazioni e racconti, nel quartiere Barra a Napoli. Lì, Gianni si formò con l'allora magistrato Peppino Fusco, diventato poi brillante avvocato di successo, e Paolo Mancuso, che sarebbe diventato coraggioso giudice istruttore, coordinatore della Dda napoletana e poi procuratore capo a Nola. Una fucina di magistrati dell'area della sinistra, con l'allora corrente di riferimento di Magistratura democratica.

Ma il salto vero avviene a 31 anni, con il passaggio dalla Pretura di piazza San Francesco a Castelcapuano. Pochi metri, ma che valgono chilometri per rilievo e importanza nella carriera. Gianni Melillo arriva in Procura, negli uffici al terzo piano allora guidati da Vittorio Sbordone. Sono mesi di rimescolamenti per la nascita, a Napoli come in tutt'Italia, delle sezioni distrettuali antimafia. Nella Procura partenopea, ancora con un numero di magistrati in organico assai lontani dagli attuali, la Dda ha naturalmente pochi sostituti. Gianni Melillo vi entra dopo non molto tempo. E, poco più che trentenne, si occupa di fascicoli importanti, con colleghi più anziani ed esperti come Franco Roberti, Paolo Mancuso, Luigi Gay, Antonio Laudati. Sono loro a gestire le inchieste di camorra scaturite dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia importanti come Pasquale Galasso o Carmine Alfieri. Rapporti tra politica e camorra e tra imprenditori e camorra, rivisitazione di vicende passate come il caso Cirillo al centro dei fascicoli.

Mesi importanti, fianco a fianco di colleghi di spessore, con Melillo assai attivo che scalpita ed è spesso anche in udienza al processo con imputato l'ex ministro Antonio Gava fino a quando, dopo essere transitato alla segreteria generale della presidenza della Repubblica come consulente giuridico, passa alla Procura nazionale antimafia. Da Napoli a Roma, al lavoro in coordinamento di alcune Dda come quelle di Bari o Bologna. Poi, con l'indimenticabile Gabriele Chelazzi, riferimento nella Dda sul territorio toscano, lavora ai fascicoli aperti sulle bombe fatte esplodere da Cosa nostra nella stagione stragista del 1993. Le bombe a Firenze, Roma e Milano. Fascicoli impegnativi nella Procura nazionale guidata da Pier Luigi Vigna, dove Melillo ritrova anche Lucio Di Pietro e altri colleghi napoletani.

Roma è anche uno straordinario luogo di relazioni e di esperienze professionali. Ma, dopo otto anni, è tempo di tornare a Napoli. Melillo viene nominato procuratore aggiunto nell'ufficio che ormai da 14 anni ha sede nella torre A del Centro direzionale. A guidarlo, c'è Giandomenico Lepore, il procuratore capo subentrato cinque anni prima ad Agostino Cordova in un ufficio che trova dilaniato da polemiche e divisioni. 

Melillo, che è magistrato con anima diplomatica da politico consumato, sa aspettare, sa misurare le parole. E attende. Agli inizi, gli viene assegnata la responsabilità della sezione dei reati di criminalità comune. E lì infatti segue le indagini sui libri trafugati alla biblioteca napoletana dei Girolamini. Poi il passaggio, che il suo curriculum giustifica, al coordinamento della Dda affidato allora a più magistrati, tra cui anche Federico Cafiero de Raho concorrente nella nomina di queste ore. La suddivisione è territoriale: area metropolitana napoletana, provincia casertana, provincia e altri distretti. A Melillo viene affidato il coordinamento delle indagini sui clan di Napoli città. Un incarico che svolge anche dopo l'arrivo del nuovo procuratore capo Giovanni Colangelo. 

Ma il richiamo di Roma ritorna e si fa di nuovo forte. Gianni Melillo diventa capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel governo Renzi. «Non so se faccio la scelta giusta» confida a qualche amico. Ma è la sua scelta e diventa il consigliere ascoltato di Orlando, l'uomo di riferimento tecnico per qualsiasi questione giuridica e organizzativa che il ministro deve affrontare. La sua storia, l'intraprendenza e l'età lo aiutano e gli fanno conquistare nuove simpatie.

Eppure, anche al ministero, Gianni si sente stretto. Matura l'idea del ritorno alla magistratura attiva, anche dopo la caduta del governo Renzi. La prima opportunità che gli si presenta è il concorso per la guida della Procura di Milano. Fa domanda, dopo essere entrato in servizio alla Procura generale di Roma per ricollocarsi di nuovo nei ruoli giudiziari. Su Milano, pesano la concorrenza con Francesco Greco e anche le critiche sulla sua incompatibilità con l'esperienza di capo di gabinetto al ministero. Quando capisce che rischia di essere sconfitto, seppure per poco, nel confronto con Greco, ritira la candidatura. È un gesto apprezzato dal Csm che a quel punto ha la strada spianata per nominare Greco con 17 sì, 4 voti contrari e tre astenuti.

Melillo, che aderisce alla corrente di Area, si rigioca le sue carte per la Procura di Napoli. Una scelta che lacera il Csm, diviso soprattutto sulla valutazione dell'esperienza del magistrato nell'incarico di maggiore fiducia del ministro Orlando. Unicost e Mi, ma anche qualcuno della stessa corrente di Melillo, ne danno un giudizio negativo. Ma Gianni ce la fa, seppure per una manciata di voti: 14 a 9. Una maggioranza non schiacciante, che lo farà arrivare alla Procura di Napoli certamente con minore forza e peso politico rispetto ai suoi due immediati predecessori: nel 2004, Giandomenico Lepore ottenne 6 voti su 6 in commissione e l'unanimità al plenum; nel 2012, sulla nomina di Giovanni Colangelo ci furono al plenum soltanto due astenuti.

Una considerazione non da poco, da tener presente nella gestione del maggiore ufficio requirente d'Italia, in cui Melillo dovrà fare i conti innanzitutto con gli aggiunti, dove la maggioranza appartiene alla corrente di Mi. Ma, questo è certo, Melillo non si scoraggerà. L'intraprendenza e anche un pizzico di cinismo sono nelle sue corde. Tornerà a tempo pieno nella città dove la ex moglie è procuratore capo alla Procura dei minori. Una città che conosce bene, in un ufficio dove è pronto a dare sfoggio della sua forza di decisione, nei rapporti interni all'ufficio come all'esterno. Un procuratore capo che non lascerà passare nulla, come si addice ad un segno zodiacale di fuoco, sagittario. Il segno di Gianni Melillo.
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