«Io, ex ragazza di Nisida disoccupata per il coronavirus»

«Io, ex ragazza di Nisida disoccupata per il coronavirus»
di Daniela De Crescenzo
Martedì 26 Maggio 2020, 11:00 - Ultimo agg. 13:56
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«Il virus ha messo in pericolo anche la vita di tanti ragazzi che, usciti dal carcere, stavano cercando di ricostruirsi un'esistenza. Sono stata a Nisida fino a gennaio, poi ho cominciato a lavorare con un contratto regolare, e quindi ho dovuto affrontare meno problemi, ma quelli a nero non hanno più nulla e rischiano di ricadere negli errori del passato»: Valentina C. è una delle ragazze che, uscite dal penitenziario minorile, ha raccontato la sua storia nel volume Dietro l'angolo, c'è ancora la strada (Guida editore) che sarà presentato giovedì on line, e raccoglie storie scritte dai ragazzi con sette autori, alcuni racconti di Maria Franco - curatrice della raccolta e per trentacinque anni docente di Nisida - e testimonianze dirette di chi ha scelto di cambiare strada. Valentina è una di loro.
 


Dopo sette anni sei tornata libera, poi con il lockdown tutto è cambiato.
«Ho smesso di lavorare all'improvviso. Appena è arrivato lo stop ho cominciato a vivere con la speranza che tutto finisse presto».

Pensi che adesso ricominciare sarà difficile?
«Non credo: la voglia di tornare a lavorare è tanta. Sarà sicuramente un po' più complicato mantenere condizioni di sicurezza e vincere e la paura di questo virus. Ma se non c'è un inizio non ci può essere nemmeno una fine, quindi, ovviamente con tutte le precauzioni, prima ci rialziamo, prima ricominciamo: i soldi della cassa integrazione non sono mai arrivati, a me e a tanti amici miei. Ci sono padri di famiglia che devono far mangiare i propri figli onestamente. Se lo Stato non li aiuta aumenta il pericolo della criminalità soprattutto tra i giovani, e quelli che vivono situazioni già a rischio».

Nel tuo racconto autobiografico parli molto di Nisida. Come ci hai vissuto?
«Per me il carcere è stato un luogo di rinascita: ognuno di noi lì dentro deve aprire gli occhi e guardarsi dentro. Fortunatamente ci sono persone che ti danno la possibilità di farlo. E soprattutto hai il tempo. Poi ci sono quelle mura bianche che quasi ti costringono a pensare. È doloroso fare un percorso interiore, ti lacera dentro. Ma se impariamo a volerci bene riusciamo a vedere i nostri errori con la voglia di diventare persone pulite».

Cosa ti ha aiutato?
«A Nisida ho scoperto la scrittura: è stata una liberazione. Scrivendo acquisisci consapevolezza di te stessa. Poi decidi se vuoi vagare in altri mondi, in altre storie. Un meraviglioso viaggio interiore, come succede anche con la lettura».

In carcere si praticavano molte attività?
«Certo. Ho amato molto il teatro che mi ha aiutato a mostrarmi in piena naturalezza. Ho sempre voluto recitare, ma non avevo mai avuto la possibilità di farlo, invece a Nisida sì: sul palco mi sento davvero me stessa. Anche il canto è stato importante, come la ceramica grazie alla quale ho trovato il mio primo lavoro. È stato importante partecipare agli incontri dedicati alla mediazione con il cappellano: è stato lì che ho capito il male che avevo fatto e sono arrivata al pentimento. Parlare dei propri errori, confrontarsi con gli altri: tutto questo ti fa riflettere e metabolizzare il passato».

Tu hai raccontato la tua vita in più libri di Nisda e parli del carcere come un'opportunità. Molti lo fanno?
«Non credo. Ci sono ragazzi che provengono da famiglie legate alla criminalità: per loro è più difficile cambiare rispetto a quelli che, come me, non hanno vissuto sempre nella malavita. In carcere ho conosciuto un ragazzo che veniva da una famiglia di spacciatori. Sognava una vita diversa, aveva tutte le intenzioni e le qualità per uscire dal tunnel. Ma una volta tornato a casa è stato risucchiato di nuovo dal buio: è stato impossibile salvarsi. Mi auguro di riuscirci. Ce la sto mettendo tutta. E spero ce la facciano anche gli altri che hanno sbagliato come me, tutti meritiamo una seconda possibilità».

Di Nisida ti manca qualcosa?
«Mi mancano le ragazze e tutte le persone che mi sono state vicine, mi manca il mare che vedevo dalla finestra.
Se vivi il carcere come un'opportunità paradossalmente è là che torni libera». 

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