Tassa di soggiorno, più della metà finisce nelle casse del Nord

Tassa di soggiorno, più della metà finisce nelle casse del Nord
di Nando Santonastaso
Mercoledì 7 Luglio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 19:05
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C’è chi l’ha sospesa per effetto del Covid, come Salerno e Pompei. Chi ci sta ancora riflettendo, come i Comuni del comprensorio vesuviano che pure contano molto sul turismo extra alberghiero, legato ad ambiente ed archeologia. E chi l’ha introdotta solo da pochi giorni, come Castellammare di Stabia e Cagliari, ma non senza un fuoco di fila di polemiche e discussioni destinato a durare ancora a lungo. Di sicuro l’imposta di soggiorno, che ormai tutti chiamano tassa, assomiglia molto all’ennesima storia all’italiana: introdotta ma in via facoltativa per consentire ai Comuni turistici di fare cassa per migliorare la dotazione di servizi e accrescere la loro attrattività, non è stata mai applicata da tutti gli “aventi diritto”. Tra dubbi e proteste, in primis quelle di Federalberghi, si va avanti ormai in ordine più che sparso da quando c’è la pandemia. Ma se poi si tira la linea e si fanno un po’ di conti, si scopre che nonostante l’emergenza sanitaria è il Nord che per distacco ha incassato più della metà del gettito nazionale. Parliamo del 62,8 per cento del totale e di un anno, il 2020, che sicuramente sarà ricordato come il più drammatico proprio per il turismo, ad ogni latitudine. Molto staccati il Centro (16,45%), il Sud (13,44%) e le Isole (7,32%).

I dati - che sicuramente un po’ di sorpresa la suscitano - sono stati elaborati dal Centro Studi Enti Locali per l’agenzia di stampa Adnkronos e si basano su quelli Siope, resi disponibili dalla Banca d’Italia.

Regioni come il Veneto, il Trentino Alto Adige, la Toscana, la Lombardia e il Piemonte rappresentano il 55,23% del totale dei 1.041 comuni che lo scorso anno hanno applicato l’imposta di soggiorno. Ma sono anche le uniche regioni che hanno ciascuna più di 100 Comuni nei quali è prevista la “tassa” sui turisti che pernottino nelle loro strutture ricettive. Evidentemente, nonostante lockdown e chiusure forzate per alberghi e strutture ricettive non alberghiere, nonostante i lunghi divieti di mobilità tra regioni, la differenza di “peso” tra Nord e Sud è comunque robusta. Lo conferma indirettamente anche il fatto che «tra le tipologie di enti numericamente più rappresentate tra le 1.041 amministrazioni che applicano l’imposta (circa uno su otto sul totale dei Comuni italiani), ci sono i Comuni delle regioni a statuto speciale (277), quelli delle zone litoranee (144) e le città ad alta vocazione turistica (120)». Numericamente sono più numerosi al Centro e al Nord e questo aiuta a capire perché nel 2020, su un incasso complessivo di 231 milioni e 888mila euro (e la cifra non comprende le entrate derivanti dal contributo di soggiorno applicato da Roma capitale che ha invece carattere patrimoniale), ben il 57% è assorbito da sole quattro regioni. Nell’ordine, Veneto (37.226.552 euro), Trentino-Alto Adige/Südtirol (37.130.471), Lombardia (31.049.442) e Toscana (26.930.951). Seguono l’Emilia Romagna, con 22.249.812 euro, la Campania, che si ferma a quota 12.939.633, la Sicilia (9.589.322), la Puglia (9.231.003) e la Sardegna (7.382.251). Ultima la Basilicata ma a poca distanza dalla Valle d’Aosta.

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Ma se la tassa di soggiorno appare una sorta di terreno di caccia quasi esclusivo del Nord (non a caso ai primi tre posti della classifica per Comuni ci sono tre località montane della provincia di Bolzano che in rapporto alla popolazione hanno gettiti record) una spiegazione più in profondità c’è. «Se al Sud è stata poco applicata finora, al di là del Covid e di tutti i ragionamenti sulla quantità dei Comuni turistici presenti nel Mezzogiorno, molto è dipeso anche dalla decisione di tanti sindaci di non appesantire ulteriormente le imposte locali più importanti, dalla Tari all’Imu, che sarebbero inevitabilmente aumentate se fosse stata applicata la tassa di soggiorno», ragiona l’avvocato Aldo Avvisati, presidente della rete di Ospitalità diffusa del Vesuviano. Insomma, pressione fiscale stabile ma niente extra gettito dal turismo. Difficile dire chi alla fine ci ha guadagnato. «In ogni caso – aggiunge Avvisati - sarebbe stato paradossale prevedere un’imposta del genere in aree prive di servizi attraverso i quali si vorrebbero attrarre turisti e visitatori. Così sarebbe stata una gabella a tutti gli effetti».

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