C’è chi l’ha sospesa per effetto del Covid, come Salerno e Pompei. Chi ci sta ancora riflettendo, come i Comuni del comprensorio vesuviano che pure contano molto sul turismo extra alberghiero, legato ad ambiente ed archeologia. E chi l’ha introdotta solo da pochi giorni, come Castellammare di Stabia e Cagliari, ma non senza un fuoco di fila di polemiche e discussioni destinato a durare ancora a lungo. Di sicuro l’imposta di soggiorno, che ormai tutti chiamano tassa, assomiglia molto all’ennesima storia all’italiana: introdotta ma in via facoltativa per consentire ai Comuni turistici di fare cassa per migliorare la dotazione di servizi e accrescere la loro attrattività, non è stata mai applicata da tutti gli “aventi diritto”. Tra dubbi e proteste, in primis quelle di Federalberghi, si va avanti ormai in ordine più che sparso da quando c’è la pandemia. Ma se poi si tira la linea e si fanno un po’ di conti, si scopre che nonostante l’emergenza sanitaria è il Nord che per distacco ha incassato più della metà del gettito nazionale. Parliamo del 62,8 per cento del totale e di un anno, il 2020, che sicuramente sarà ricordato come il più drammatico proprio per il turismo, ad ogni latitudine. Molto staccati il Centro (16,45%), il Sud (13,44%) e le Isole (7,32%).
I dati - che sicuramente un po’ di sorpresa la suscitano - sono stati elaborati dal Centro Studi Enti Locali per l’agenzia di stampa Adnkronos e si basano su quelli Siope, resi disponibili dalla Banca d’Italia.
Ma se la tassa di soggiorno appare una sorta di terreno di caccia quasi esclusivo del Nord (non a caso ai primi tre posti della classifica per Comuni ci sono tre località montane della provincia di Bolzano che in rapporto alla popolazione hanno gettiti record) una spiegazione più in profondità c’è. «Se al Sud è stata poco applicata finora, al di là del Covid e di tutti i ragionamenti sulla quantità dei Comuni turistici presenti nel Mezzogiorno, molto è dipeso anche dalla decisione di tanti sindaci di non appesantire ulteriormente le imposte locali più importanti, dalla Tari all’Imu, che sarebbero inevitabilmente aumentate se fosse stata applicata la tassa di soggiorno», ragiona l’avvocato Aldo Avvisati, presidente della rete di Ospitalità diffusa del Vesuviano. Insomma, pressione fiscale stabile ma niente extra gettito dal turismo. Difficile dire chi alla fine ci ha guadagnato. «In ogni caso – aggiunge Avvisati - sarebbe stato paradossale prevedere un’imposta del genere in aree prive di servizi attraverso i quali si vorrebbero attrarre turisti e visitatori. Così sarebbe stata una gabella a tutti gli effetti».