«Mia sorella è con i suoi due figli ancora all'esterno dell'aeroporto di Kabul, è rimasta illesa nei vari attentati di questi giorni, ma mi ha detto che preferisce rischiare la morte pur di lasciare l'Afghanistan». La gioia di essere riusciti ad arrivare nel nostro Paese, per alcuni dei 127 profughi afghani ospiti del Covid residence di Ponticelli, si mischia all'angoscia per chi invece è rimasto laggiù. Tra le persone giunte a Napoli c'è chi ha lasciato amici e familiari a Kabul. «Non so come ringraziarvi per questa accoglienza - spiega la donna - ma non è facile restare qui sapendo che una parte della mia famiglia possa morire in qualsiasi momento a causa di un kamikaze. Ho provato al telefono a tranquillizzare mia sorella, ma so che ormai le speranze sono pochissime per lei di riuscire a lasciare l'Afghanistan».
Ringraziano per l'accoglienza, sono letteralmente coccolati dal personale del Covid residence di Ponticelli, ma nelle loro stanze si respira l'angoscia per chi è rimasto a Kabul nel mentre i profughi raccontano le loro storie nell'ambito dell'attività svolta dalla Protezione Civile della Regione Campania per il censimento e la prima accoglienza disposto dall'Unità di Crisi coordinata da Italo Giulivo ed effettuate con il supporto dell'Asl Napoli 1. Tra gli ospiti c'è anche un giornalista afghano, il 26enne Mokhtar H., arrivato con la sua compagna 24enne. Dovevano sposarsi, ma non sono riusciti a causa dell'arrivo dei talebani. «Grazie alle informazioni in mio possesso ero sicuro che i talebani avrebbero preso il potere, non credevo così in fretta. Con la mia compagna siamo riusciti solo a scambiarci le fedi in una cerimonia privata, ma non a sposarci». Racconta la sua fuga Mokhtar: «Quando ho capito che i talebani stavano prendendo il potere sono prima passato in redazione a prelevare l'hard disk dove ho le inchieste e i documentari che ho girato, mi avevano assicurato che sarei potuto scappare con un aereo dell'Esercito tedesco». Sono scene di vita vissuta quelle di Mokhtar, ma sembrano quelle di un film. «Arrivato all'aeroporto non siamo riusciti ad arrivare al gate d'imbarco, non a causa dei terroristi o dei talebani, ma a causa della calca, ho visto chi è morto nella morsa della folla. Siamo rimasti 4 notti a pernottare all'esterno dell'aeroporto senza cibo e senza acqua, poi siamo tornati a casa senza speranza».
Ringrazia per l'accoglienza ricevuta anche Daoud Z., arrivato con sua moglie e 4 bambini a Ponticelli, nel suo Paese collaborava con il contingente italiano. Daoud indossa un paio di jeans e quando gli è stato chiesto se poteva indossarli anche in Afghanistan ha risposto in maniera netta. «In questi anni - ha spiegato - abbiamo sempre potuto vestirci alla maniera occidentale, ora nel nostro Paese non si potrà più. Mi chiedo soprattutto, ora che ci sono i talebani, come faranno le donne capofamiglia a poter lavorare visto che il regime ne fa divieto alle donne». Arrivano quindi le accuse: «Ci siamo fidati degli americani - dice - prima ci hanno detto che erano al nostro fianco e poi ci hanno abbandonati. Hanno avuto un atteggiamento squallido». Intanto è partita la gara di solidarietà per aiutare i profughi. L'associazione Il Quadrifoglio sta raccogliendo abiti e giocattoli da distribuire agli ospiti del Covid residence. «Ha telefonato anche un imprenditore - spiega Nando Mansueto dell'associazione - che ha promesso una cospicua donazione in danaro».