Luigi Cesaro intercettato 31 volte: «Sindaco e tre consiglieri, ecco il patto con il clan Puca»

Luigi Cesaro intercettato 31 volte: «Sindaco e tre consiglieri, ecco il patto con il clan Puca»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 11 Giugno 2020, 09:30 - Ultimo agg. 11:31
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Trentuno telefonate. È la lunga traccia lasciata da Luigi Cesaro sul telefono di un suo stretto collaboratore politico (Luigi Vergara), in una sorta di romanzo criminale che ha scandito la vita democratica alle porte di Napoli. Trentuno telefonate sulla cui utilizzabilità dovrà esprimersi il gip, per stabilire se firmare la richiesta di carcere inoltrata dalla Dda a carico del senatore azzurro. Non solo forma, dunque, a margine della maxiretata dei 59 presunti camorristi sui voti comprati e le tangenti per condoni e appalti all'ombra del Comune di Sant'Antimo. Due giorni fa è stata la Dda di Napoli a notificare un avviso di garanzia a carico di Luigi Cesaro (agli arresti domiciliari Aniello e Raffaele Cesaro, Antimo Cesaro in carcere a Poggioreale). Concorso esterno in associazione camorristica e voto di scambio. In cinque pagine, nomi e soldi per cementare il presunto patto politico-mafioso in due stagioni diverse, nel 2012 e nel 2017.

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Ma prima di arrivare alle ultime elezioni, conviene raccontare come vengono descritti da alcuni pentiti i rapporti tra i fratelli Cesaro e il clan di Sant'Antimo. Siamo nel 2008, Luigi Cesaro sta per raggiungere il top della sua carriera politica, come parlamentare e come vertice del centrodestra in Campania, quando ci sarebbe stato un incontro con il boss Pasquale Puca (che un anno dopo, nel 2009, viene arrestato per finire al 41 bis). Un incontro inedito, messo agli atti nel 2017 dal pentito Claudio Lamino, nello studio di un avvocato nei pressi della Questura di Napoli: «All'interno della stanza entrarono tutti e quattro i fratelli Cesaro e il boss Pasqualino Puca. Parlarono di liste elettorali, non ho mai sentito Pasquale Puca urlare in modo così forte. Capii che si trattava di nomi da mettere nelle liste e qualche tempo dopo, dall'atteggiamento contrariato di Pasquale Puca, capii anche che non era stato accontentato». Dunque affari, politica e coperture, a leggere l'ordinanza di custodia cautelare firmato dal gip Maria Luisa Miranda. Tra i Cesaro e Puca - si legge - esiste un accordo occulto: sul versante imprenditoriale, con la nascita del centro polidiagnostico Igea e del centro commerciale il Molino; e sul piano politico, finalizzato a infiltrare uomini dei Puca in consiglio comunale, negli uffici chiave del Municipio, grazie a una capillare compravendita di voti.

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E cerchiamo di capire come sono andate le cose della vita politica alle porte di Napoli. Partiamo dalla fine, dalla spallata alla giunta di Aurelio Russo, eletta nel 2017 dopo che i Cesaro erano stati colpiti dall'inchiesta sul Pip di Marano. Stando alle accuse della Dda di Napoli, il culmine della spallata inflitta alla giunta Russo (che ha interrotto un monocolore di 10 anni di centrodestra) sarebbe stato dato con seimila euro. Soldi - si legge nel capo d'accusa - dati a Ferdinando Pedata, per firmare una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco Aurelio Russo, nel tentativo di riprendere il controllo del Palazzo. Ma torniamo all'avviso di garanzia a carico di Luigi Cesaro. Restiamo al 2017, al presunto accordo finalizzato a sostenere la candidatura a sindaco di Corrado Chiariello. Un accordo non solo politico, scrivono i pm Loreto e Serio (aggiunto Rosa Volpe), vista la trama di rapporti che sarebbe stata messa in piedi da Luigi e Antimo Cesaro. In sintesi, Antimo e Luigi prendono accordi con Francesco Di Lorenzo, imprenditore e consigliere comunale, indicato a sua volta come punto di riferimento dello stesso clan Puca. C'è un solo imperativo, scrivono i pm: procurare voti per Chiariello, anche acquistandoli, forti di accordi anche con esponenti del clan Verde (Agostino Russo e Camillo Petito) e del clan Ranucci (vale a dire Alessandro Ranucci e Francesco Scarano).

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Ma qual era l'impegno? In ballo, oltre alla carica di sindaco, anche l'elezione di tre consiglieri comunali, vale a dire Francesco Di Lorenzo, Annarita Borzachiello e Rossella Cataneo (il primo in cella, le ultime due indagate a piede libero). Ma come si arriva alla compravendita dei voti? Anche qui sono diversi i soggetti a scendere in campo e su livelli differenti. Secondo un pentito, nel 2011 Luigi Cesaro avrebbe sborsato prima 10mila euro, poi 35mila euro nelle mani di un soggetto legato ai Puca, per acquistare voti, dettando anche le regole del gioco, con un controllo capillare dei soldi spesi (50 euro), delle foto delle croci messi sulle schede e dei voti realmente presi. Ma c'è anche un altro gruppo di lavoro, tra presunti cavallucci e galoppini, che si muove sul territorio: scendono in campo Marta Verde, Gaetano Golino, Francesco Di Donato, che «vengono incaricati» di comprare voti. Un ruolo attivo anche da parte di Francesco Di Lorenzo, classe 1974, dipendente dell'Esercito (al centro documentale del distretto militare di Napoli), che «comprava voti per il cugino» Francesco Di Lorenzo; Antonio Marciano, dipendente di Di Lorenzo, indicato come «attivo nei seggi», Antimo Petino (presidente di seggio), che avrebbe spalancato le porte ai presunti brogli. In che modo? In questo caso, nei quartieri popolari sarebbero state raccolti i certificati elettorali, consentendo al gruppetto assoldato da Di Lorenzo di entrare nel seggio e imbustare una serie di schede vendute a cinquanta euro la volta.
 


Anno 2017, al primo turno il candidato sindaco dei Cesaro supera il 48 per cento, poi arrivano le indagini sui presunti accordi di Marano, c'è la ritirata dei fratelli.
Per il gip è la fine di un lungo dominio, costruito sulla sistematica infiltrazione di soldi sporchi in aziende di famiglia.

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