Monsignor Francesco Alfano: «Castellammare è rassegnata, serve un sussulto civile»

Monsignor Francesco Alfano: «Castellammare è rassegnata, serve un sussulto civile»
di Fiorangela d'Amora
Venerdì 28 Maggio 2021, 08:52 - Ultimo agg. 10:56
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«Accolgo la notizia dell'arrivo della commissione d'accesso con preoccupazione e dolore. In queste settimane già avvertivamo il turbamento per un aspetto delicato che purtroppo ci segna da tempo». Monsignor Francesco Alfano, vescovo della Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia è appena tornato da Roma dove ha partecipato alla Conferenza Episcopale Italiana. Non era in città quando gli ispettori nominati dal Prefetto su indicazione del ministero dell'Interno hanno varcato i cancelli di Palazzo Farnese.
 

Monsignore, dice di aver avvertito un clima difficile. In che modo?
«Di fronte al problema atavico legato alla corruzione, all'illegalità, al compromesso esplicito o sotterraneo che sia, la comunità è chiamata a risvegliarsi. Ho imparato a respirare questo clima ma non ad accettarlo. Dobbiamo chiamare le cose per nome e capire che c'è bisogno di un sussulto di responsabilità civile».
Condivide l'arrivo della commissione d'accesso?
«Non la viviamo come una mannaia sulla testa o un destino fatale, ma come un fatto che faccia risvegliare la comunità e le faccia ritrovare una coscienza critica».
In questi mesi stabiesi illustri e anche magistrati hanno più volte ribadito la ricchezza ormai passata della città, e l'assuefazione di fronte a una cultura criminale. È d'accordo?
«Non posso che condividere. Il patrimonio è ricchissimo ed è coscienza comune ricordare con orgoglio e nostalgia il passato. Di fatto, la storia recente è segnata da queste ferite gravi, rispetto alle quali abbiamo tutti noi una responsabilità che va capita e affrontata».
Chiama a raccolta tutti, anche la politica?
«Dinanzi al capezzale di un morente si chiamano tutti, nessuno deve sentirsi esonerato. Certo è che il problema è sociale e culturale prima ancora che politico».
Si può ripartire dai giovani?
«Non sono un idealista sprovveduto, so bene che anche i giovani, benché in buona parte siano ancora appassionati, vivono esperienze giornaliere negative che li fanno arretrare. Riappassionare i giovani al bene pubblico va bene, ma vanno anche protetti e incoraggiati».
La Chiesa si sente chiamata in causa in questo processo così delicato?
«Certo. Come comunità cristiana sento la responsabilità del lavoro formativo, di una presa di coscienza vigile. Molti parroci della nostra diocesi fanno un grande lavoro, ma da soli non bastano».
Lei ha parlato di episodi spiacevoli, di un clima pesante. Come tutto questo è arrivato a lei? In che forma?
«Osservo una propensione alla rassegnazione. C'è diffidenza e scetticismo, come se le cose dovessero andare così, senza che vi sia una soluzione. Altre volte sono anche state raccolte confidenze di situazioni gravi, per questo dico che la comunità non va lasciata sola».
Lei è qui da nove anni, com'è cambiata la città?
«Quando arrivai, un fedele mi disse: Aiutateci a far resuscitare le città. Quelle parole e anche il sentimento di tutti mi fecero percepire il bisogno di cambiamento della comunità, colsi le risorse di tante associazioni culturali e sociali. Realtà che mi hanno affascinato fino a farmi innamorare; ora sono sempre innamorato grazie al lavoro dei miei parroci, ma anche più preoccupato. La crisi lavorativa ed economica ha consumato la città, abbiamo bisogno non di indicazioni e ideali che lasciano il tempo che trovano ma di un percorso concreto».
Si sente di lasciare un messaggio di speranza o un rimprovero?
«Io credo che la speranza sia la cosa più concreta che esita, il desiderio tante volte contrastato dalla realtà. Non è una lotta contro i mulini a vento. Ho speranza perché ho incontrato tanti che scendono in campo, c'è speranza per un impegno concreto e immediato».
Quanto la crisi economica ha contribuito al decadimento della città?
«La crisi economica c'è, è evidente, ma c'è qualcosa di più profondo che ci deve stimolare, ed è il nostro modo di essere, non solo in qualità di cittadini. Castellammare è bella perché è variegata anche nelle tradizioni sociali, culturali e umane, ma bisogna ora scavare nel profondo di ognuno di noi per ripartire uniti».
 

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