Provate a chiedere chi era Fernanda. Provate a chiederlo ai Quartieri spagnoli. Provate a chiedere, poi vedete che succede. Perché in quella zona, dove “il sole del buon dio non dà i suoi raggi”, se domandi della signora della pizza fritta chiunque volge lo sguardo verso un angolo, tra via Concezione a Montecalvario e via Speranzella, come se fosse la Mecca. Provateci anche ora che lei non c'è più e quel luogo sacro, con la scritta votiva “Fernanda pizza fritta la mattina e la sera”, è rimasto orfano della sua vestale.
Se n'è andata anche lei, Fernanda Miano, a 85 anni, e Napoli perde un altro sconosciuto illustre, un altro puzzle della sua identità, del suo mosaico di anima e sangue. «La pizza della signora non la fa nessuno», dicevano i clienti soffiando sulla pasta, le lacrime agli occhi per l’acquolina e il calore.
L'onore e l'onere di continuare l'attività di pizzaiola arrivò a lei che rimpiangeva la caldaia piena d'olio della madre, perché la sua ancora non si era fatta nera: solo con quel colorito la frittura sarebbe venuta perfetta, sosteneva. Avevano oltre un secolo i suoi arnesi: la “avotapesce” (la schiumarola) e lo spiedo che servivano a girare l'impasto tuffato nell'olio caldo; lei usava quello di girasole, “gli altri danno cattivo odore”. 3 euro la grande, quella a ruota di carretto, e 2 la piccola, il “battilocchio”. In qualunque formato la sua pizza era una leggenda: profumata e saporita, croccante fuori e morbida dentro. Si poteva scegliere solo la classica con cicoli, ricotta, provola e pepe; poi sì, il pomodoro, ma Fernanda non era tanto d’accordo: «Lo metto perché piace ma non ci andrebbe». Dolce, seria, filologica Fernanda, quando nacque la pizza fritta il pomodoro non era ancora arrivato in Europa. Della più antica delle pizze andava fiera: «La fritta è un'altra cosa. A fare la margherita che ci vuole? La metti in forno e arrivederci. Qua, invece, ci vuole una certa mano. La frittura è viva, bisogna seguirla». La frittura è viva, evviva Fernanda.