Pistole, coltelli, bastoni e tirapugni: a Napoli ogni giorno tre sequestri di armi ai minori

Pistole, coltelli, bastoni e tirapugni: a Napoli ogni giorno tre sequestri di armi ai minori
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 9 Giugno 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:10
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C’è un po’ di tutto in quelle carte. Sono le facce diverse della stessa realtà – quella che ormai da tempo chiamiamo emergenza giovanile -, quelle destinate a finire sul tavolo di un magistrato. Esposti, denunce, informative, proviamo a sfogliarle: ci sono 360 e passa sequestri di armi in cinque mesi. Una media di tre sequestri di armi al giorno, tra Napoli e provincia. Erano nelle mani di giovanissimi, in gran parte minori, a loro volta protagonisti di una deriva mai vista fino a questo momento. Giovani armati, boom di sequestri: 360 in cinque mesi, uno ogni tre ore a voler fare i conti del ragioniere. 

Cosa dicono quelle carte? Andiamo a leggere: coltelli, tirapugni, catane, mazze da baseball, mazze ferrate, manganelli. Per non parlare delle pistole, solo in parte riconducibili al sistema camorristico cittadino.

Parliamo anche di pistole replica senza tappetto rosso, (solo impropriamente definite giocattolo, perché un’arma non è mai un giocattolo), usate per piccole azioni predatorie, tra assalti a benzinai o farmacisti, bar e supermarket. Cinque mesi di sangue e paura, raccontati alla luce di blitz e interventi delle forze dell’ordine. Un dato, quello dei tre sequestri al giorno, che è stato diramato in questi giorni dai carabinieri del comando provinciale di Napoli, agli ordini del generale Enrico Scandone, che bastano da soli a raccontare una sorta di emergenza. Dati in piena sintonia con il trend nazionale, quello di altri contesti metropolitani, con una specificità tutta napoletana: la presenza di un circuito camorristico o para criminale che assorbe sempre più giovani.  

Armi facili, dunque, dentro e fuori le organizzazioni criminali. Da dove spuntano? Cosa alimenta una richiesta sempre più alta? Restiamo a quanto emerso di recente nel corso di un comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. Sette giorni fa, a porte chiuse, è emerso un dato che basta da solo a raccontare il nuovo scenario giovanile: stando al racconto di alcuni presidi e direttori scolastici sono diversi i genitori a giustificare l’uso di coltelli da parte dei loro figli. Avviene a Chiaia e in altri spaccati metropolitani periferici. Un atteggiamento psicologico o culturale prima ancora di diventare notizia di reato: armati in classe, con l’assenso dei genitori, che – quando vengono convocati da docenti e dirigenti – battono su un punto in particolare: mio figlio armato? Deve pur difendersi. Ma torniamo alla storia dei sequestri. Da dove arrivano tante armi? E dove è possibile attingere a un campionario tanto diversificato? Piazza Garibaldi, mercatini all’aperto, le armi spesso non sono in esposizione, ma è facile acquistarle. Poche decine di euro per un coltello, stessa cifra per tirapugni e altri oggetti contundenti. Esistono anche negozi specializzati, chi è maggiorenne può spacciarsi per collezionista e acquistare un coltello pronto all’uso. Poi ci sono i circuiti legati alla rete, dove – con una carta di credito – è possibile farsi recapitare ogni genere di mercanzia legata a questo genere.

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Sequestri e denunce, ovviamente, vanno di pari passo. Numeri altissimi negli ultimi mesi, quelli della ripartenza. A spiegare il fenomeno, basta qualche dato, questa volta legato alla scarsa efficacia della legge in termini di deterrenza. Proviamo a ragionare sulla scorta di un esempio fatto pochi giorni fa, nel corso di un’intervista al Mattino, dal questore Alessandro Giuliano: a Portici, dieci giorni fa, due ragazzi sono stati fermati, perché in tasca avevano un coltello con lame da venti centimetri. Qual è stato l’esito, sotto il profilo strettamente penale? Una denuncia, con tanto di segnalazione ai genitori. Nulla più. Nulla che fosse realmente in grado di rappresentare un momento di rottura, di crescita. Stesso approccio superficiale, da parte di chi viene processato per reati gravi, per fatti di sangue. Esiste una sorta di refrain, qui ai Colli Aminei, quando i più giovani finiscono dinanzi ai giudici minorili. Prima la negazione, poi il “non volevo ucciderlo”. Un refrain dicevamo, specie quando il processo si è celebrato e i giovani assassini restano al colloquio con gli assistenti sociali: «Il coltello? Lo tenevo in tasca, non mi ricordo neanche perché lo avevo. Il ragazzo ammazzato? Non volevo ucciderlo, non volevo ammazzarlo... ho solo avuto paura e ho usato il coltello». Come un cane che passa la vita a mordersi la coda. 

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