Aziende in Ungheria, nella Repubblica Ceca e in Slovacchia, ma tutte fasulle e tutte create ad hoc per coprire un traffico di rifiuti ferrosi che partiva dalla Campania. Con il meccanismo classico del giro di bolla, quindici persone, tutte residenti tra Napoli e Caserta, hanno movimentato diciottomila tonnellate di rifiuti ferrosi spacciandoli per materiali metallici. L'inchiesta è stata coordinata da Eurojust, l'organismo dell'Unione europea che dispone indagini e azioni penali tra le autorità giudiziarie degli Stati Ue; a dirigerla è stata la Dda di Torino e acondurla i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria del capoluogo piemontese. Undici dei 15 arresti sono stati eseguiti dalle Fiamme Gialle napoletane nel capoluogo, ma anche ad Acerra, Giugliano Casoria e Pomigliano. Alle aziende coinvolte, una con sede nella provincia di Torino, a Rondissone, e un'altra sempre con sede legale a Torino ma di fatto operativa a Napoli, sono stati sequestrati beni per un valore di 130 milioni tra denaro liquido, immobili e quote societarie. Agli indagati sono stati contestati i reati di associazione per delinquere di matrice internazionale finalizzata al traffico illecito di rifiuti metallici, autoriciclaggio di proventi illeciti ed emissione e utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti. L'operazione è stata chiamata Ferramiù, dal nome piemontese dei lavoratori del ferro.
I soggetti coinvolti, imprenditori e camionisti, sono tutti campani.
Un meccanismo, quello del giro di bolla, utilizzato fin dagli anni Ottanta per realizzare i crimini ambientali. Proprio attraverso l'utilizzo di società fantasma è stato possibile negli ultimi trent'anni far arrivare in Campania rifiuti tossici provenienti da tutt'Italia. Oggi, però, la direzione dei traffici sembra essersi invertita e sempre più frequentemente sono gli scarti provenienti dalla Campania a finire al Nord oppure - e capita sempre più spesso - negli altri Paesi Ue. Non a caso, proprio per il commercio della spazzatura proveniente dalla Campania, il ministro dell'Ambiente della Bulgaria è stato costretto a dimettersi e al di là del Mediterraneo il suo collega tunisino è stato addirittura arrestato. Per stanare i commercianti illegali di rifiuti, come è spiegato in un comunicato, è stata necessaria la cooperazione di forze di polizia di mezza Europa. I finanzieri, infatti, hanno tracciato l'attività commerciale e finanziaria delle imprese fittizie collocate all'estero avvalendosi, della collaborazione di sette Paesi: Repubblica slovacca, Ungheria, Turchia, Egitto, Pakistan, Cina e Malaysia.
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