Napoli, armi e case del clan Di Lauro gestite da casalinghe e pensionati

Le rivelazioni di un pentito: «Un bazooka conservato nel cimitero di Secondigliano»

Il rione dei Fiori a Secondigliano
Il rione dei Fiori a Secondigliano
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 1 Novembre 2023, 23:01 - Ultimo agg. 2 Novembre, 17:30
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C’è chi fa il pensionato e non ha alcun problema a conservare armi da guerra nella propria abitazione. Conduce una vita tranquilla, mai segnalato dalle forze dell’ordine, neppure una multa o una bolletta non pagata. Sotto traccia, all’insegna di una vita anonima e riservata, svolge un ruolo strategico per l’esistenza della camorra di Secondigliano. E non è l’unico, il nostro pensionato. Ce ne sono tanti di nomi senza storia, di volti non conosciuti, di esistenze al riparo del codice penale, che si sono prestati a fornire un contributo nella logica di radicamento di boss e gregari sul territorio napoletano. Andiamoli a vedere, i prestanome o i fiancheggiatori, i complici occulti, gli uomini non eccellenti che – alla luce di quanto sta emergendo - non avrebbero mai immaginato di impegnare l’attenzione del pool antimafia.

Ci sono due donne, per esempio, che hanno rappresentato – e forse sono ancora operative - un presidio fondamentale nella gestione delle case popolari: quelle formalmente del Comune ma sostanzialmente ad appannaggio della camorra: una fa la lavandaia, ogni giorno lava le scale per una ditta privata della zona; l’altra vende detersivi, fa la commerciante al dettaglio, gestendo un piccolo negozio alle porte del rione dei fiori. Camorra mimetica a Secondigliano, alla luce del racconto di alcuni collaboratori di giustizia, secondo quanto è stato possibile leggere nelle pagine depositate in questi giorni dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, dove è in corso la valutazione delle richieste di scarcerazione dei presunti boss e imprenditori, tra i quali spiccano i nomi di Tony Colombo e Tina Rispoli (per i quali è stato confermato il carcere). In questi giorni, udienza per Vincenzo Di Lauro (assistito dai penalisti Antonio Abet e Andrea Lucchetta), si attende il provvedimento del collegio di giudici.

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Ma torniamo al libro nero di prestanomi e teste di legno, di fiancheggiatori e sostenitori occulti. Parla il pentito Salvatore Tamburrino, fino al 2019 braccio destro del boss Marco Di Lauro, per oltre dieci anni custode della sua latitanza. Tamburrino ha ucciso la moglie Nora Matuozzo (di fronte alla sua richiesta di troncare la relazione con un cammorrista) e da allora collabora con la giustizia. Ed è Tamburrino a spiegare la capacità mimetica del clan. Capitolo case popolari: «Esiste una lista di tutte le case vendute direttamente da me, di cui si occupava anche Diego Leone». Ma di quali case si tratta? Il pentito spiega: «Sono del Comune di Napoli, parlo delle case nel rione dei Fiori, il cosiddetto terzo mondo. Il mercato funziona in questo modo: l’assegnatario si vuole vendere l’immobile e deve chiedere prima a noi dei Di Lauro se ci servivano». Chi sono i referenti? Agli atti spuntano due nomi di donne, che il Mattino non cita, in attesa di riscontri investigativi: «I referenti sono omissis, quella che vende roba per la casa; ma anche omissis, la salumaia...». Una lavandaia e una commerciante di salumi hanno dunque una lista di case pubbliche, che vengono gestite con rigore degno di una amministrazione svizzera: «Queste due donne ci contattano per vedere se il clan è interessato alla vendita di una casa. E in caso di accordo, l’acquistavamo o la rivedevamo guadagnando qualcosa, fino a 5mila euro. Un appartamento (comunale) grande vale fino a 25mila euro». Ed è a questo punto che viene confermata l’esistenza di un trucco che, alla luce delle tante inchieste fatte su questo argomento, funziona un po’ dappartutto, da Ponticelli a Caivano, da Scampia a Pianura: «L’accordo è che l’assegnatario originale rimane residente lì, pur avendo di fatto lasciato l’abitazione». Un meccanismo che in passato funzionava anche grazie a contatti interni alla municipalità locale, a proposito di volture di assegnazioni: «Avevamo un contatto interno alla municipalità, si occupava di volture e decreti». 

Stesso discorso sulle armi, a leggere le indagini dei pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano. Il sistema si regge sugli insospettabili: «D.E., incensurato, le custodisce nel vano ascensore. Pistole, kalashnikov, qualche fucile a pompa». Vano ascensori, interni di cancelli, scaffalature in condomini abitati da insospettabili. E non è tutto. In altre occasioni, il clan ha usato il cimitero di Secondigliano. Già, il cimitero: «Un bazooka è stato messo in una nicchia, quella che poi è stata usata per seppellire un ragazzo dei Di Lauro ucciso durante la faida dei cosiddetti girati». Uno scenario che attende verifiche e riscontri, a partire dall’approfondimento del ruolo svolto da decine di soggetti incensurati e inspettabili che hanno contribuito a garantire il radicamento del clan Di Lauro all’ombra del terzo mondo. 
 

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