Cristofer scomparso nel nulla, l'ultimo post: ​«Addio ai traditori»

Cristofer scomparso nel nulla, l'ultimo post: «Addio ai traditori»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 21 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:04
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Lo aveva scritto poche ore prima di sparire nel nulla. Una traccia che sembra fornire agli inquirenti il nome dell’assassino, anzi, del gruppo di soggetti che gli hanno teso una trappola fatale. Poche ore prima di lasciare la propria abitazione, Cristoforo Oliva - per tutti Cristofer - aveva postato una frase su facebook che, agli occhi dei giudici, non fa altro che confermare un livello di responsabilità abbastanza chiaro: «Addio ai traditori...». Nome al plurale, che allude a persone di cui non fidarsi, che fanno riferimento a soggetti rimasti probabilmente sullo sfondo di una vicenda di cronaca decisamente controversa. È il giudice Patrizia Mirra, presidente della seconda Corte di assise appello, a firmare la condanna di Fabio Furlan a 21 anni di reclusione, come responsabile dell’omicidio dell’ex amico Cristoforo Oliva.

Nove mesi dopo il verdetto, arriva il deposito delle motivazioni che, da un lato conferma le presunte responsabilità di Furlan, dall’altro punta l’indice contro altri tre amici del gruppo del ragazzo scomparso. Vengono passati in rassegna presunti passi falsi, le tracce che andrebbero sviluppate da un punto di vista investigativo, le condotte che vengono bollate come «opache». Prescritta l’accusa di occultamento di cadavere, resta in piedi la condanna per omicidio volontario.

Una storia che risale a undici anni fa. Era il 17 novembre del 2009, quando Cristofer lasciò la propria abitazione. Studente universitario, leader di un gruppetto di ragazzi di estrazione borghese, amanti della bella vita, delle feste, ma anche capaci di gestire in proprio una piantagione di marijuana. Nelle ottanta pagine di motivazione, la Corte di assise d’appello conferma i moventi, valorizza gli indizi raccolti dalla squadra mobile, indica le false piste o, per essere più chiari, i finti alibi e i depistaggi messi in campo da soggetti rimasti sullo sfondo.

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Per i giudici napoletani, non ci sono dubbi sulla colpevolezza di Fabio Furlan, ex amico del cuore di Cristofer Oliva: legatissimi fino all’estate del 2009, i due entrarono in conflitto per la rivalità amorosa nei confronti di una ragazza, con cui avevano intrecciato in momenti diversi un flirt; ma anche per la gestione della piantagione di canapa, che garantiva soldi e carisma nello stesso gruppo. Ma al di là del ruolo dell’imputato, i giudici indicano la posizione di almeno tre altri ex amici del gruppo, che potrebbero conoscere gran parte del mistero sulla scomparsa di Cristofer. Figure «opache» per dirla con la Corte di assise appello, come emerge da una serie di indizi che appaiono fin troppo chiari. Come la storia delle utenze telefoniche di due amici del gruppo rimasti sullo sfondo: «Che cessano di avere traffico telefonico per almeno due giorni dopo il delitto, un atteggiamento che non trova altra giustificazione se non nella consapevolezza di doversi sottrarre ad ogni coinvolgimento in questa vicenda».

E non è l’unica riflessione. Agli atti anche l’analisi dei cosiddetti «alibi familiari», con madri, padri, sorelle e fidanzate che si impegnano a costruire trame «irrisorie» per scongiurare coinvolgimenti del proprio parente nell’inchiesta. Undici anni dopo la scomparsa di Cristofer, c’è ora una ricostruzione che sembra sgomberare il campo da piste alternative rispetto a quella percorsa in aula, come ribadito dalla parte civile (rappresentata dai penalisti Valerio De Maio e Paolo Stravino), che assiste la famiglia di Cristofer. Difeso dai penalisti Annalisa e Saverio Senese, Furlan ora ha la possibilità di fare ricorso in Cassazione, nel tentativo di ribaltare il giudizio di condanna. Scarcerato per decorrenza dei termini, Furlan ha lasciato l’Italia. Vive probabilmente in Spagna, dove si recò subito dopo la scomparsa dell’amico di sempre. Secondo l’accusa, fu l’ultimo ad incontrare Cristofer, attirato in trappola con una telefonata da un bar che venne ascoltata anche dalla sorella della vittima. Da allora il buio. Restano quelle condotte «opache» e quegli alibi familiari indicati nella sentenza sugli amici del «rione collinare». 
 

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