L’altra notte è crollata una porzione della Vigna di San Martino, una struttura seicentesca che il degrado e l’abbandono hanno lasciato marcire. Un luogo per il quale il primo allarme è stato lanciato nel 2001 e poi, come spiega il proprietario Peppe Morra nell’intervista di questa stessa pagina, il tempo e la burocrazia hanno rallentato tutto: c’erano anche i fondi disponibili ma il progetto è stato rallentato, andava rivisto. E mentre gli esperti rivedevano il progetto la Vigna di San Martino ha deciso che non ne poteva più di aspettare.
La Vigna di San Martino appartiene a Peppe Morra, gallerista, operatore culturale, collezionista ma, soprattutto, innamorato di questo luogo che non ha voluto mai contaminare con l’arte né con il business.
Morra è capace di guardare allo scempio di quel muro antico senza far montare una condivisibile rabbia, e non si scompone nemmeno di fronte all’indignazione del cronista che si chiede come sia stato possibile far succedere tutto questo.
La realtà è che tutt’intorno a questo pezzetto di paradiso si percepisce l’avanzamento del degrado. In cima alla pedamentina che passa di fianco alla vigna c’è il belvedere di San Martino, anche quello circondato da plastica rossa e bianca in segno di pericolo perché sta per crollare: possibile che la zona più panoramica, ricca di segreti e storia della città, sia stata lasciata in abbandono senza un pizzico di attenzione?
Fortunatamente i danni alla vigna per adesso sono lievi. È venuto giù solo un pezzo delle antiche murazioni di sostegno, una zona che si trova sul fronte orientale della vigna, quella che affaccia verso Spaccanapoli, la più riservata dell’intero appezzamento. Però il degrado del tufo è diffuso nell’intera vigna, dappertutto: ecco perché sarebbe necessario un piano d’azione immediato. E forse sarebbe ancora più urgente perché questi sette ettari sono stati prima vincolati come bene di interesse paesaggistico e dieci anni fa inseriti nel novero dei Beni Monumentali della città di Napoli.
A decretare la salvezza di questo luogo fu un soprintendente illuminato, Armando Dillon, il quale nel 1967, per impedire l’avanzata dei cementificatori (edificare sui terreni di questa vigna era consentito dal piano regolatore dell’epoca), s’inventò la trasformazione “ad horas” in bene di interesse paesaggistico e bloccò nel giro di una notte le ruspe che già rombavano ai piedi della collina.
Il resto l’ha fatto Peppe Morra che dal 1988 si batte per lasciarla nell’antico splendore. La sua squadra esegue una manutenzione certosina del verde. Proprio la manutenzione fece scoprire i primi danni strutturali e fece lanciare un disperato “sos” vent’anni fa.
Quella richiesta d’aiuto non è stata ancora raccolta.