Napoli e la fine del lockdown: fase 2 a rilento, la città riapre solo a metà

Napoli e la fine del lockdown: fase 2 a rilento, la città riapre solo a metà
di Gennaro Di Biase
Lunedì 4 Maggio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 5 Maggio, 12:24
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Nel primo giorno della fase due Napoli all’angoscia residua fa da contraltare la pazienza, alla rabbia la voglia di tornare alla vita. Un giorno pieno di contraddizioni, criticità e speranze, saracinesche rialzate e saracinesche rimaste abbassate da cui pende il cartello con l’hashtag #iononapro. C’è chi si è riorganizzato con delivery, take away e banchetti «acchiappa-prenotazioni». C’è chi ha protestato in strada, come i pastorai di San Gregorio Armeno o chi non ha aperto, come a Chiaia. Le vie a vocazione turistica della città, cioè i cardini dell’economia partenopea degli ultimi anni, sono quelle più in difficoltà. 

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C’è vita su via Toledo, come in piazza Dante e piazza Carità. La folla non manca, sebbene le molte saracinesche dei grandi store di abbigliamento siano abbassate, con delle eccezioni per i reparti dei bambini. Lo shopping transennato, in altre parole. Sul marciapiede sinistro di via Toledo, seduto su una sedia di legno, si incontra il pizzaiolo Francesco Rapuano. Ha messo un tavolino a dieci metri dalla pizzeria per esporre i volantini del delivery. «Facciamo marketing – sorride – per dire ai clienti: “Voi non potete venire da noi, ma noi possiamo venire da voi”». Due passi più in là ha riaperto – rigorosamente per asporto o consegna – anche lo storico bar Augustus. I dipendenti servono caffè away e rispondono da dietro le grate del locale. «Il caffè lo portiamo a casa solo per 5 o 6 porzioni – spiega Augusto Migliore, uno dei proprietari – Serviamo anche tavola calda nel quartiere senza costi aggiuntivi per la consegna, sul resto del territorio cittadino aggiungiamo 3,50 euro di spese». In piazza Carità il Fly Caffè è per ora tra gli indecisi. La saracinesca è alzata, ma per la sanificazione.
 

 

L’incipit della fase due non è però omogeneo. Se le vie principali sono vive, lo sono meno vicoli e viscere di Napoli. Secondo Pasquale Russo, direttore di Confcommercio Napoli «hanno riaperto tra il 50 e il 60% dei negozi di ristorazione e il 90% di librai, cartolai e, in queste ore, fioristi». Per Confesercenti invece ha riaperto solo i l5% di bar, il 45% di ristoranti e altrettanti i fiorai. «C’è più gente del previsto in strada ma non ancora da rendere sufficiente la domanda di clienti», dice Vincenzo Schiavo presidente di Confesercenti. Sono tante infatti le serrande abbassate ai Decumani. Spaccanapoli, piazza San Domenico, i Tribunali: le vie del centro storico sono lo spettro delle strade che pullulavano di vita e turisti prima del Covid. E lo stesso vale per i maestri del presepe di San Gregorio Armeno, che ieri hanno tenuto chiuse le botteghe esponendo un cartello con le richieste allo Stato. «Dopo due mesi di chiusura non abbiamo avuto né soldi né incentivi – dice il pastoraio Vincenzo Capuano – e ora ci chiedono di riaprire con costi aggiuntivi di sanificazioni e senza turismo.  Tutto l’indotto di San Gregorio, basato sul turismo internazionale, è in ginocchio: b&b, ristoranti, artigiani». «A livello economico i problemi sono globali – ammette Genny Di Virgilio – ma visto che San Gregorio è una vetrina internazionale serve un’attenzione particolare: il nostro pane qui sono i turisti. Le istituzioni locali devono battersi per ripristinare al più presto i trattati di Shengen, altrimenti i pastori napoletani non si riprenderanno». Tra i tanti chiusi qui c’è anche il Gambrinus. Alla Riviera i locali aperti sono di più. «Con tutti i problemi del caso, ma stiamo ripartendo – spiega Luigi Iossa di Salvatore – la concessione del take away ci dà un po’ di respiro in più rispetto al solo delivery. Teniamo duro: è un palliativo per non stare chiusi, ma la soluzione reale potrà essere solo il ritorno alla normalità». Aperti, di fianco a lui, anche Area 67 e il bar. 
 

Più deserte della Riviera sono piazza Vanvitelli e via Scarlatti, dove i tanti esercizi di abbigliamento sono off limits.
Non ha aperto per esempio Guido Guida, del bar Opera in via Luca Giordano: «Serve coesione istituzionale – dice – Ora che l’emergenza è finita è giusto che Governo e Regioni si coordino per ristabilire i diritti. Perché nel bar non si può entrare e nei supermercati e sugli autobus ci sono assembramenti? Se non si trovano soluzioni condivise, saranno mesi di tragedie economiche e di affari d’oro per la malavita, che potrà investire il suo cash senza problemi, vista l’assenza di liquidità dalle istituzioni». Si riapre a strappi, insomma, oltre che a scaglioni.

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