Napoli, svolta sul rogo a Città della Scienza: il pm interroga il figlio pentito del boss D'Ausilio

Il rampollo del clan fuggì dal carcere approfittando di un permesso premio

Città della Scienza in fiamme
Città della Scienza in fiamme
di Leandro Del Gaudio
Martedì 22 Novembre 2022, 22:57 - Ultimo agg. 24 Novembre, 09:30
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Difficile che non sappia davvero nulla di quella storia. Difficile che non abbia raccolto - fosse anche solo per sentito dire -, spunti o retroscena legati a quel fattaccio avvenuto nel suo quartiere. Silenzi e retroscena che potrebbero spingere oggi la Procura a fare un tentativo, fosse anche solo una mossa esplorativa: interrogare Felice D’Ausilio - figlio del boss storico di Bagnoli che, alcuni mesi fa, ha deciso di collaborare con la giustizia -, sull’incendio di Città della scienza, il museo del mare devastato il 4 marzo del 2013, in circostanze rimaste ancora misteriose.

Una mossa che può sembrare scontata - al momento è una robusta ipotesi giornalistica -, di fronte alla determinazione con cui la Procura sta seguendo le dinamiche criminali sulla periferia occidentale. C’è una data che fa da spartiacque, che coincide con la distruzione del museo di Coroglio. Già, Coroglio: è storicamente la roccaforte criminale dei D’Ausilio, clan legato ai Licciardi di Secondigliano, che da sempre punta a infiltrarsi nelle procedure d’appalto di Napoli ovest.

Come è noto, alcuni mesi fa, Felice D’Ausilio ha deciso di collaborare con la giustizia. Viene ritenuta, la sua, tutt’altro che una sortita campata in aria, dal momento che il neo collaboratore di giustizia sembra offrire una certa coerenza nel racconto reso fino a questo momento. Quanto basta per mettere a fuoco il livello di conoscenza dei vertici del clan locale sulla distruzione di Città della scienza. 

Sul tavolo dei pm anticamorra, ci sono alcuni punti che non passano inosservati: nel 2016, D’Ausilio jr si rese protagonista di una clamorosa fuga, dopo aver approfittato di un permesso premio. Un’evasione che coincise (almeno da un punto di vista storico) con alcuni delitti che insanguinarono l’area occidentale di Napoli, ma anche con una riorganizzazione dei traffici criminali sul posto. Un periodo di libertà nel quale è difficile immaginare che D’Ausilio non abbia chiesto informazioni sul fattaccio di Coroglio. Due sono le cose: se c’entra la camorra locale, il nuovo pentito potrebbe ridare slancio a una pista battuta dalla Dda mai abbandonata del tutto, a proposito di una regìa anche mafiosa dietro le fiamme dolose del marzo del 2013; se, invece, il pentito dovesse confermare che in questa storia la camorra non c’entra nulla, allora ci troveremmo di fronte a un’ulteriore conferma della pista interna dietro il rogo.

E a proposito di pista interna, in questi giorni sono state depositate le motivazioni della condanna a sei anni di reclusione rimediata lo scorso luglio dal vigilante, unico imputato. Sesta Corte di appello, 5 anni e 4 mesi per l’ex custode Paolo Cammarota (difeso dall’avvocato Luca Capasso, che potrà fare appello per Cassazione), ecco i punti che emergono al termine del lavoro investigativo condotto dal pm della Dda Ida Teresi: «È assodato che Cammarota abbia fatto gli ultimi due giri di perlustrazione, quel lunedì 4 marzo del 2013», favorendo in questo modo gli ignoti attentatori di appiccare il fuoco nei sei punti di innesco.

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Stando al ragionamento dei giudici, è quasi impossibile che le fiamme siano state appiccate senza incrociare Cammarota, nella sua doppia ronda serale. E non è tutto. C’è anche la storia dell’allarme antincendio, sapientemente disattivato prima dell’arrivo degli ignoti attentatori. L’imputato avrebbe prelevato le chiavi dalla centralina, per disattivare l’allarme, agevolando l’azione dolosa dei piromani. Una ricostruzione che ora attende la voce del pentito, a proposito di cose recepite in cella o sul territorio, da parte dell’ex funambolo del clan D’Ausilio. 
 

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