Napoli, la vita del superlatitante Di Lauro: cinema, ristorante e abiti griffati

Napoli, la vita del superlatitante Di Lauro: cinema, ristorante e abiti griffati
di Leandro Del Gaudio
Martedì 12 Marzo 2019, 23:00 - Ultimo agg. 13 Marzo, 18:30
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Pagavano un fitto di quattrocento euro al mese, rispettavano la cedolare secca, uscivano poco di casa, quasi mai durante il giorno, qualche volta di notte. Cinema, ristorante, una coppia anonima, perfettamente mitizzata nell’anonimato della periferia di Napoli. Via Scaglione, Chiaiano, Napoli, Italia: è qui che ha vissuto Marco Di Lauro assieme alla compagna Cira, secondo le poche informazioni raccolte nei giorni successivi all’arresto.
 
Sabato 2 ottobre l’arresto, indagini in corso per stabilire come ha fatto il boss della camorra napoletana a dettare legge ai suoi senza mai attirare l’attenzione di interi reparti investigativi. Poche le informazioni raccolte finora: il contratto di fitto risale all’anno 2014-2015, data dell’allacciamento delle utenze, quattro anni da fantasma, in una zona dove sono transitate centinaia di volte auto di forze dell’ordine in blitz e retate antidroga. Ma qual era la vita di Cira «Ciretta» Marino e del suo compagno Marco Di Lauro? Una donna fissata con le scorte e le riserve, a giudicare dai quantitativi di detersivo, di varichina, ma anche dall’olio a disposizione in casa. Attenti alla linea e all’alimentazione, i due coniugi di fatto, secondo quanto suggerisce un libro di cucina sulle migliori diete possibili e gli attrezzi per il body building, amanti anche delle griffe, al di là della patina di anonimato che si erano cuciti addosso: lì, in una casa popolare, le forze dell’ordine hanno trovato un set di borse Prada, accessori da migliaia di euro che stridono con il tenore di vita di chi si arrangia a pagare il fitto per 400 euro. 

Segni distintivi di una vita nascosta che, quando era possibile, lasciava il guscio di Chiaiano per entrare nel mondo delle persone normali: «Qualche volta al cinema, qualche volta al ristorante», lascia intendere «Ciretta», che invece alza le spalle e mantiene il silenzio quando le chiedono se avessero affrontato mai un viaggio all’estero. Scuote la testa, la donna del boss, dice «no» con il capo. Eppure è difficile pensare che per quattro o cinque anni Marco Di Lauro non si sia mosso mai da via Scaglione. Per lui gli inquirenti napoletani si apprestano a chiedere il trasferimento al regime di carcere duro, nella convinzione del ruolo di reggente di un cartello che pesa nella geografia criminale napoletana. Fine delle serate al cinema o degli aperitivi in abiti firmati, fine della mimesi, della vita sotto traccia. Inchiesta condotta dai pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, si lavora sui traffici di droga e sui mercati del riciclaggio.

C’è la convinzione che parte dei proventi del narcotraffico siano stati ricollocati lontano da Napoli, magari a Dubai dove da anni vive Raffaele Imperiale, ex broker della camorra inseguito da un mandato di cattura internazionale fermo nelle pastoie delle rogatorie internazionali. Un tipo calmo, moderato, volutamente dal profilo basso, come ha fatto intendere nei due interrogatori di garanzia resi la scorsa settimana dinanzi ai giudici napoletani, l’ormai ex ricercato numero uno. Difeso dai penalisti Carlo e Gennaro Pecoraro, Di Lauro jr si è limitato ad un’alzata di spalle, prima di avvalersi della facoltà di non rispondere: «Non capisco perché tanto clamore attorno al mio arresto - aveva detto - eppure non mi sono mai mosso da Napoli». Circostanze tutte da verificare, mentre nei prossimi giorni toccherà al ministro della Giustizia firmare la nota di trasferimento al carcere duro dell’ex wanted della camorra napoletana: non ci sarebbero dubbi, per gli inquirenti napoletani, sul ruolo di primo piano assunto da F4, capace di mediare in tempi di guerra (come nel 2011, durante la faida dei girati) e di eclissarsi in tempi di pace. 
 

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