Omicidio di Mergellina, niente sconti all’imputato: «Negato il rito abbreviato»

Il processo per l'omicidio di Francesco Pio Maimone

Lo chalter dove fu ucciso Francesco Pio Maimone
Lo chalter dove fu ucciso Francesco Pio Maimone
di Luigi Sabino
Lunedì 15 Gennaio 2024, 23:58 - Ultimo agg. 17 Gennaio, 12:10
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«È una tragedia che nessuna condanna potrà mai cancellare». Sono le parole dell’avvocato Sergio Pisani all’indomani della decisione del Gup di Napoli di non concedere il rito abbreviato a Francesco Pio Valda, il giovanissimo assassino del diciottenne, e per uno scherzo del destino suo omonimo, Francesco Pio Maimone. Una decisione ha spiegato il penalista che rappresenta i familiari della vittima che si sono costituiti parte civile, presa in base alla normativa vigente che nega per il reato di omicidio volontario aggravato, la concessione dei riti alternativi.

Il Gup, infatti, ha ritenuto che Valda abbia agito per futili motivi respingendo, quindi, le richieste avanzate dai suoi difensori e passando, di fatto, la competenza alla Corte d’Assise di Napoli. Sarà proprio il riconoscimento delle aggravanti, quindi, il terreno di scontro su cui si affronteranno accusa e difesa in quello che, sin da ora, appare come un acceso dibattito ma il cui esito, qualunque esso sia, non servirà a restituire la vita ad un ragazzo di appena diciotto anni, la cui unica colpa fu quella di trascorrere una serata con gli amici. Francesco Pio Maimone fu ammazzato solo perché si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato, colpito dal proiettile esploso dalla pistola impugnata dal suo assassino coinvolto, lui sì, in un violento alterco. 

Era il 20 marzo dello scorso anno dinanzi a uno chalet di Mergellina.

Francesco Pio è seduto a un tavolino con altri due ragazzi quando scoppia l’inferno. Urla, minacce e, infine, il colpo di pistola che lo raggiunge al petto non lasciandogli scampo. Una tragedia resa ancora più assurda dalla scintilla che ha innescato il tutto, un paio di costose scarpe macchiate per errore. Il gestore dello chalet la raccontò così: «Mentre ero intento a preparare delle bibite all’interno del chioschetto - riferì agli investigatori - nei pressi dei tavolini ubicati sul marciapiede proprio nei pressi della porta del chioschetto, ho sentito alcuni ragazzi che discutevano. Da questioni legate alle scarpe e all’abbigliamento sono passati al chi sei tu e chi sono io. Li ho invitati a tranquillizzarsi e ad allontanarsi». A fronteggiarsi, da una parte Valda e i suoi compagni, dall’altra una paranza del rione Traiano. Dalle parole si passò ai fatti quando uno dei rivali sferrò un calcio ad un amico di Valda. Fu l’inizio della fine. Valda, a mal partito, estrae la pistola, una micidiale calibro 38 e la punta al cielo esplodendo alcuni colpi. Neanche questo, però, ferma gli avversari che, anzi, quasi a volerlo deridere, lo accusano di sparare a salve. Valda abbassa il braccio e punta l’arma ad altezza uomo. Spara contro un’auto in sosta mandando in frantumi un finestrino e, poi, ancora.

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È il caos e lui ne approfitta per scappare. Non si rende nemmeno conto che uno dei proiettili ha raggiunto Francesco Pio Maimone al petto ferendolo mortalmente. Verrà arrestato qualche ora più tardi mentre si nascondeva presso alcuni parenti nella periferia est di Napoli. Le indagini, però, non si fermano con il suo arresto. Poco tempo dopo finiscono in manette altre sette persone, tutte accusate, a vario titolo, di aver favorito la breve fuga del giovane assassino. Anche loro, come Valda, dovranno rispondere alla giustizia. Il 27 febbraio prossimo la prima udienza del processo che li vedrà alla sbarra con accuse pesantissime. Valda, in particolare, oltre della morte di Francesco Pio dovrà rispondere anche di un altro reato, collezionato mentre si trovava in carcere ossia indebito accesso a dispositivi idonei alla comunicazione. Lo scorso dicembre, infatti, pubblicò su un noto social network alcuni video che lo ritraevano in compagnia di altri due detenuti. 

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