Napoli, il figlio del dipendente Asia travolto e ucciso da un camion: «Mio padre vittima del lavoro, per noi operai nessuna tutela»

Gennaro Cristiano punta il dito contro la mancanza di sicurezza: «Morire così è inaccettabile»

Giuseppe Cristiano, morto nel deposito Asia
Giuseppe Cristiano, morto nel deposito Asia
di Melina Chiapparino
Venerdì 15 Settembre 2023, 00:01 - Ultimo agg. 16 Settembre, 09:21
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«Morire perché si sta facendo il proprio lavoro è inaccettabile». Le parole di Gennaro Cristiano non riguardano solo il padre Giuseppe, il 66enne dipendente dell’Asia investito da un camion dell’azienda all’alba di giovedì ma sono rivolte «a tutto il mondo operaio». Nel racconto doloroso dell’ennesima morte bianca a Napoli, il dito viene puntato sulla «mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro» come sottolinea il 46enne napoletano. 

Gennaro come ha saputo dell’incidente di suo padre? 

«Erano le cinque del mattino e stavo per cominciare il mio turno.

Anche io faccio l’operaio come mio padre ma lavoro in fabbrica e per un’altra tipologia di azienda. Quando ho sentito squillare il cellulare e ho visto che si trattava di mia sorella, ho subito immaginato che potesse essere successo qualcosa a papà. Se non sbaglio, proprio quella mattina aveva anche anticipato il suo turno in Asia. Ci hanno detto che era stato investito e che si trovava in ospedale perché doveva essere operato, così mi sono precipitato da lui». 

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Cosa è accaduto dopo? 

«Inizialmente ci avevano informato riguardo la permanenza di circa 5 ore in sala operatoria per intervenire sui numerosi traumi riportati da mio padre. Dopo un’ora e mezza, i medici sono venuti a parlarci e abbiamo capito che non c’era più speranza. Bisognerà attendere il risultati dell’autopsia ma non abbiamo chiaro neanche cosa sia accaduto. Prima ci avevano spiegato che un camion aveva investito papà mentre effettuava la retromarcia poi ci hanno detto che, invece, l’investimento è avvenuto frontalmente. Ma è inaccettabile».

Ritiene che ci siano delle responsabilità? 

«Chiarisco subito che non accuso l’autista del camion. Qui non si tratta di accuse ma di responsabilità. Sono certo che si sia trattato di un incidente ma la mancanza di sicurezza su un luogo di lavoro è da ricondurre a responsabilità per la mancanza di investimenti a tutela dei lavoratori. Anche io faccio l’operaio e ho piena consapevolezza di quanto spesso si trascuri l’aspetto della sicurezza. Mio padre era un lavoratore diligente e scrupoloso ed era impegnato anche a livello sindacale per la tutela degli operai».

 

Lei ha detto che suo padre «non è il primo e non sarà l’ultimo a morire sul lavoro».

«Purtroppo sono convinto che la battaglia per la sicurezza dei lavoratori e, in particolare, degli operai sia ancora molto lunga. Pochi mesi fa ci sono stati altri episodi a Napoli e ogni giorno si sentono notizie di questo tipo. Questa volta è toccato a mio padre, un uomo che desiderava solo lavorare per la sua famiglia».

Il suo appello? 

«Voglio la verità. Mia madre, mia sorella e tutta la nostra famiglia pretende di sapere esattamente cosa è accaduto a mio padre e per quale motivo è accaduto. Non vorrei che nelle prossime ore si discuta ad un tavolo per fare lo scaricabarile sulle responsabilità per la morte di mio padre. Istituzioni e politica non possono ignorare l’accaduto e soprattutto devono fare in modo che non accada mai più».
 

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