Napoli, psicosi da Covid: donna anziana chiede aiuto e sviene ma nessuno la soccorre

Napoli, psicosi da Covid: donna anziana chiede aiuto e sviene ma nessuno la soccorre
di Ettore Mautone
Martedì 22 Dicembre 2020, 12:03
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È successo tutto intorno alle 20 di domenica scorsa: via Terracina, quartiere Fuorigrotta, nei pressi della fermata dell'autobus, all'altezza dell'incrocio con la strada che conduce a viale Giochi del Mediterraneo, una donna anziana è a terra, rannicchiata e sofferente, si lamenta con una mano stretta al petto.

Un giovane, Stefano Branciforte, giornalista, già portavoce dell'Aima (Associazione italiana malati di Alzheimer), è in macchina con la fidanzata, diretto verso casa. «Ho dovuto rallentare perché chi mi precedeva era incuriosito dalla scena.

Dalla macchina ho visto un gruppo di persone che fissava a distanza la donna accasciata a terra che non si muoveva. Ho immediatamente accostato e mi sono avvicinato a lei. Era rannicchiata con le gambe in posizione fetale, si lamentava, chiedendo aiuto e mi ha detto con un filo di voce di non riuscire a respirare. A quel punto mi sono abbassato verso di lei per toccarla con una mano e rassicurarla. Contemporaneamente, ho digitato il 118 sul cellulare per chiamare i soccorsi. - Signora, l'ambulanza sta arrivando, non si sforzi, le ho detto. Le persone alle mie spalle, che si tenevano invece a debita distanza di sicurezza anti-Covid senza fare nulla, mi hanno suggerito: La signora tossisce, sicuramente ha il Covid, allontanati. Ho poi sentito una mano sulla spalla, un signore ha aggiunto: Ma che fai? Tieni anche la mascherina sotto al naso, e in effetti la mascherina nella concitazione si era spostata. L'ho risistemata e ho continuato a parlare con la signora. Eravamo all'aria aperta. Non ho ritenuto di correre alcun rischio. Ho pensato a un infarto e al fatto che anche un secondo di ritardo potesse far morire quella persona. Quando ho chiamato l'ambulanza, altri mi hanno anche apostrofato come il paladino del Co». Una pausa per dire: «A quel punto sono rimasto basito a fissarli credo per qualche secondo, senza parole. Non credevo alle mie orecchie. Disgustato mi sono voltato verso la signora e in quei minuti d'attesa (pochi, perché l'ambulanza è arrivata subito ma che a me sono sembrati interminabili) sentivo una solo una rabbia sorda, mista a incredulità. L'umanità dov'è finita - mi sono chiesto - se basta il remoto timore di un contagio che, tra l'altro, oggettivamente, in quella situazione, pure se si fosse trattato di un caso di Covid era improbabile a lasciare una donna anziana a terra da sola e rantolante». 

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All'arrivo dall'ambulanza i sanitari hanno fatto sedere la signora su una panchina lì vicino, le hanno misurato i parametri vitali e poi hanno effettuato un elettrocardiogramma con sistema telematico, preso una vena e infuso una flebo. «Pare che non fosse in pericolo di vita - aggiunge Branciforte - mi hanno detto che non era un infarto, ma a quanto pare colpita da una crisi respiratoria. Quando ho capito che la signora era in buone mani e adeguatamente assistita, sono andato via. Non so in qualche ospedale sia stata portata. Sono convinto di aver fatto solo il mio dovere come cittadino, osservando le norme di sicurezza ma senza sottrarmi a un gesto che a me è sembrato ovvio». La donna è stata condotta in ospedale al San Paolo. Dopo i primi accertamenti è emerso che si era trattato di una crisi parossistica di asma. Una storia a lieto fine.

«Una vicenda emblematica commenta Alberto Vito, responsabile dell'unità di Psicologia clinica all'ospedale dei Colli - di come le valutazioni soggettive e dunque le rappresentazioni possano prevalere sulle valutazioni oggettive e falsare la realtà percepita. Complici di tali errori cognitivi, che si riflettono sulle reazioni emotive, sono anche la narrazione dei fatti attraverso strumenti totalmente disintermediati come i social». L'esperto aggiunge: «Vincono così le relazioni emotive e irrazionali piuttosto che quelle fondate su una base oggettiva. Questo aspetto lo incontriamo in maniera esacerbata, quando esaminiamo le reazioni di alcuni utenti nei confronti del personale sanitario addetto alle cure: un meccanismo patologico di proiezione delle proprie paure e inadeguatezze fa scaturire in alcuni casi una massima ammirazione e in altri, purtroppo, aggressività assurda e immotivata».

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