Scontri a Napoli: caccia ai registi: black bloc con le molotov

Scontri a Napoli: caccia ai registi: black bloc con le molotov
di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 7 Aprile 2016, 08:42 - Ultimo agg. 08:43
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Cani sciolti o i soliti noti, cioè i professionisti della guerriglia metropolitana? Chi ha animato la frangia più estrema del corteo dei manifestanti che ieri ha tenuto sotto scacco un’intera città arrivando al culmine della tensione sfociata nel lancio di lacrimogeni e nel getto degli idranti sul lungomare cittadino? È l’interrogativo dal quale muovono le indagini della Questura e dei carabinieri sugli scontri che hanno trasformato via Caracciolo in un’arena gladiatoria. Fatti gravi che, pur non avendo fortunatamente causato vittime o feriti, hanno causato pur sempre conseguenze deprecabili: 14 agenti delle forze dell’ordine medicati per contusioni varie e lo scempio di una delle strade che pur sempre resta uno dei biglietti da visita della città. Partiamo dalla fine. Dal bilancio di una giornata da dimenticare, soprattutto per chi l’ha vissuta da incolpevole spettatore. Il corteo dei manifestanti, composto da un migliaio di persone, ha paralizzato il traffico veicolare per ore tenendo in ostaggio migliaia di napoletani. Pur senza alcuna autorizzazione preventiva, gli organizzatori hanno potuto deviare come meglio credevano il percorso partito da piazza Dante; e lo hanno fatto utilizzando una tecnica sopraffina: zigzagando cioè e spaziando in lungo e in largo, così di volta in volta bloccando la circolazione lungo via Toledo, via Medina, piazza della Borsa, e poi ancora via De Pretis, via Marina, via Acton, via Caracciolo.

Un testa a testa continuo con le forze dell’ordine, coordinate dalla Questura. Trattative continue on the road nel tentativo di contemperare le esigenze di chi intendeva manifestare con quelle di un’intera collettività, quella dei napoletani intrappolati nel serpentone di lamiere delle auto inchiodate alla strada dai continui blocchi stradali. Qui va fatta subito una precisazione: la stragrande maggioranza del corteo che protestava contro l’arrivo in città del presidente del Consiglio Matteo Renzi - impegnato nel presiedere in Prefettura un vertice sulla cabina di regia per la bonifica di Bagnoli - era composta da giovani e meno giovani che intendevano esercitare un sacrosanto diritto: quello a manifestare. E dunque bando alle facili colpevolizzazioni. Tantissime le sigle della galassia dei manifestanti: dai movimenti dei disoccupati ai comitati studenteschi, dai sindacati di base alle sigle dell’antagonismo, dai centri sociali ai Carc e così via. Tutti confluiti in quel cuore pulsante del «no» alle politiche del governo sulla bonifica dell’ex polo industriale della zona occidentale della città che è la sigla «Bagnoli Libera». E tuttavia anche questa volta le cose non sono andate come sarebbero dovute andare, qualcosa non ha funzionato e - alla fine - la situazione è sfuggita di mano. Così si è arrivati al faccia a faccia con le forze dell’ordine su quel lungomare trasformato in un set western, in qualcosa di molto simile a un mezzogiorno di fuoco posticipato dalle lancette dell’orologio alle 14 di un mercoledì da dimenticare.

Adesso la Digos cerca i responsabili, o meglio gli istigatori di quegli scontri. Già, perché un punto appare chiaro: chi ha tentato di avanzare oltre la linea rossa sfondando i cordoni di protezione delle forze dell’ordine posizionate in piazza Vittoria sapeva di andare incontro ad una reazione di polizia, carabinieri e finanza. Eppure una qualche raffinata regia ha fatto sì che il corteo unitario con le sue bandiere, i suoi slogan, le maschere del premier, i canti e la voglia di far sentire la propria voce si sia improvvisamente frammentato, articolandosi in tre segmenti. Uno di questi - animato da giovani incappucciati e vestiti di nero - si è improvvisamente volatilizzato mentre transitava nei vicoli dei Quartieri spagnoli per poi ricomparire lungo i Gradoni di Chiaia e, dopo avere costeggiato la Villa Comunale, posizionarsi nei pressi della Colonna spezzata, in piazza Vittoria. Forse l’obiettivo di questo centinaio di persone restava quello di avvicinare la sede del «Mattino», dove Renzi era atteso per una diretta in streaming. O forse no. Sta di fatto che, nonostante i reiterati inviti ad arretrare e ad abbandonare quella posizione c’è stato chi ha fatto scoccare la scintilla che ha dato fuoco alle polveri.

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