Sparatoria a Napoli, il figlio dello scultore ferito per errore ai Quartieri spagnoli: «Un inferno, salvate il mio papà»

Sparatoria a Napoli, il figlio dello scultore ferito per errore ai Quartieri spagnoli: «Un inferno, salvate il mio papà»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 17 Giugno 2021, 23:50 - Ultimo agg. 18 Giugno, 08:17
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«Inferno all’improvviso, lì sotto i miei occhi. Mio padre a terra, il rombo di auto e moto, le urla della gente, la fuga e mio padre a terra. Andavamo a prendere la metropolitana, non abbiamo fatto in tempo a capire cosa fosse accaduto, ho visto mio padre straziato dal dolore e ho chiesto aiuto: vi prego salvate mio padre da questo inferno». Mastica dolore e rabbia Elio, il figlio di Enrico De Maio, colpito da un proiettile nel corso di un regolamento di conti ai Quartieri Spagnoli. Un uomo conosciuto, non solo all’Arenella, dove abita, apprezzato per la sua versatilità di artista-artigiano, amante della scultura, delle immagini, ma sempre vicino alle persone comuni, generoso con tutti. È il ritratto del 56enne, che vanta un curriculum di tutto rispetto, per aver partecipato a rassegne di spessore, come Napocalisse, Futuro Remoto, con allestimenti in musei di rilievo nazionale. È lui, la vittima più grave del far west di mercoledì pomeriggio. Salvato dal tempestivo intervento del figlio, dall’immediata corsa in ospedale. Sono in tanti a raccontare la storia di due uomini feriti per errore, vittime per caso della violenza sotto casa. Mercoledì pomeriggio, dunque, in vico San Matteo. Dal paradiso all’inferno, in un attimo, come raccontano le tante persone che in queste ore sono vicine ad Elio, che era lì, accanto al padre mentre tornavano a casa, dopo aver completato un lavoro pomeridiano. A casa padre e figlio erano attesi per la festa di compleanno della figlia dell’artigiano, una serata da trascorrere in famiglia, con un occhio alla partita dell’Italia, in un’armonia tipica delle persone perbene. Finiti in un conflitto tra due gruppi familiari che da anni si fronteggiano tra i vicoli dei Quartieri. Spaccio di droga e odi mai sopiti, insanguinati in un recente passato dagli omicidi Verrano e Mazzanti: consumati anche in questo caso in modo plateale, tra la folla dello struscio a ridosso di via Toledo. 


Ma torniamo al dramma di questi giorni. Ospedale Pellegrini, siamo a pochi passi dalla stazione della metro. Mercoledì pomeriggio, padre e figlio stavano raggiungendo piazzetta Montesanto, quando si sono trovati di fronte i killer. Una manciata di secondi, attimi interminabili: c’è chi impugna la pistola e prende la mira contro la sagoma di un uomo che è alla guida di uno scooter. Un agguato frontale, che non va a buon fine, nell’ottica deviata di chi spara per ammazzare. In sella allo scooter, il target designato ha già capito tutto, ha riconosciuto lo sguardo dell’assassino. Accelera all’improvviso e riesce a schivare i colpi: è così che la cronaca di un morto ammazzato nell’interminabile faida tra famiglie rivali si trasforma nell’ennesimo caso di «vittime innocenti», per usare un’espressione ministeriale. Compostezza, dignità e rigore anche nella famiglia dell’altro passante colpito per errore, parliamo degli stretti congiunti di Vittorio Vaccaro, residente in zona, colpito al braccio e in condizioni meno gravi rispetto a quelle di De Maio.

Non ci stanno gli stretti congiunti di Vaccaro, di fronte alle notizie della prima ora: rivendicano in modo sacrosanto la propria estraneità al crimine, scandiscono forte e chiaro l’assenza di contatti con l’illegalità della zona. Eccoli, all’esterno del Pellegrini. Parla Davide, uno dei parenti: «Non si può finire in ospedale in questo modo, siamo ancora sotto shock. Basta armi, basta violenza».

 

Ma torniamo in casa De Maio, torniamo all’Arenella: rabbia, paura, speranza. Tutta l’attenzione è concentrata sulle condizioni cliniche dell’artigiano di 56 anni, sul bollettino medico, sulle parole del primario. Famiglie oneste, persone che lavorano, che conducono una vita dignitosa, all’insegna del rispetto delle regole. E la mente torna a mercoledì pomeriggio, alla cronaca di due passanti colpiti per errore. In pochi attimi, la vita del figlio di Enrico De Maio è stata una spaventosa rincorsa alla normalità perduta: «Qualcuno salvi mio padre», ha urlato, prima del trasporto in ospedale, prima di essere ascoltato dagli uomini della Mobile, agli ordini del primo dirigente Alfredo Fabbrocini: «Non so cosa sia accaduto, mio padre era lì a terra, nel suo sangue, viso contratto dal dolore: liberateci da questo inferno». 

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