Napoli, la strage delle Fontanelle: cinque ergastoli, c'è anche il figlio del boss ucciso

Napoli, la strage delle Fontanelle: cinque ergastoli, c'è anche il figlio del boss ucciso
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 4 Giugno 2020, 21:11 - Ultimo agg. 5 Giugno, 00:03
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Quasi dieci ore di camera di consiglio, un verdetto che non fa sconti: cinque ergastoli a carico dei presunti responsabili della faida delle Fontanelle - aprile del 2016 - nel cuore del rione Sanità. Prima corte di assise (presidente Provitera), in un clima reso asettico per la mancanza di pubblico, arriva il verdetto di primo grado per una delle pagine più sanguinarie della guerra interna al rione Sanità. Dunque, gli ergastoli: carcere a vita per Antonio Genidoni, figlio del boss Pietro Esposito, massacrato pochi mesi prima a pochi passi da casa, in un assalto armato ordito dal clan Lo Russo (ritenuto in buoni rapporti con i Genidoni-Esposito).

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Poi altre quattro condanne all’ergastolo, nei confronti dei presunti esecutori materiali e di due donne che avrebbero svolto un ruolo nella pianificazione della strage, nel sostegno morale e logistico dell’attentato: ergastolo per Emanuele Esposito (ritenuto braccio destro di Genidoni); per Alessandro D’Aniello; per Addolorata Spina, madre di Genidoni; e per Vincenza Esposito (moglie di Genidoni), per la quale era stata avanzata richiesta di condanna a trent’anni. Prima corte di assise, aula 116, una lunga camera di consiglio per accertare le responsabilità del duplice omicidio di Giuseppe Vastarella e Salvatore Vigna, raggiunti dai killer all’interno del circolo Maria Santissima dell’Arco in via Fontanelle 193 al Rione Sanità, ma anche per il ferimento di Dario Vastarella, Antonio Vastarella e Alfredo Ciotola. Era il 22 aprile del 2016, un agguato consumato nel pieno della contrapposizione tra i Vastarella e gli Esposito-Genidoni, conosciuti anche come barbudos, per la moda della barba modello Isis. Inchiesta condotta dai pm Urbano Mozzillo e Enrica Parascandolo, decisive le intercettazioni ricavate grazie a una cimice piazzata in un appartamento milanese nel quale Genidoni era ai domiciliari.

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