Omicidio volontario. Nessuno sconto o rivisitazione per il carabiniere accusato di aver ucciso il giovane rapinatore Ugo Russo. Due ore di camera di consiglio per mandare gli atti in Corte di Assise, dove - a partire dal prossimo 12 luglio - il militare dovrà rispondere dell’accusa più grave: omicidio volontario, per aver fatto fuoco contro l’aggressore che aveva tentato di rapinargli l’orologio. Una vicenda amara, destinata ad un approfondimento davanti a un collegio di giudici. Passa la linea dell’accusa, alla luce di quanto emerso da una serie di perizie portate al cospetto del gup Tommaso Perrella.
Brutta storia, quella di Ugo Russo. È la notte tra il 29 febbraio e il primo marzo del 2020, in via Orsini, quando il 15enne prova a mettere a segno una rapina, spalleggiato da un complice maggiorenne.
Difesi dall’avvocato Giovanni Fusco, i genitori di Ugo sono costituiti parte civile. Tramite il suo legale, chiariscono un punto: «Chiediamo un processo giusto, finalizzato all’accertamento della verità e delle responsabilità. Nostro figlio aveva solo 15 anni. Il carabiniere ha agito da giustiziere». Ieri mattina, quando la madre del giovane rapinatore colpito a morte ha notato la presenza dell’imputato, ha avvertito un malore. È stata condotta all’esterno dell’aula per riprendere le forze. Ma il processo che si apre a luglio sarà una battaglia dalla prima all’ultima udienza, alla luce di quanto accaduto in questi mesi, a porte chiuse, dinanzi al gup Perrella. Non ci stanno i difensori del carabiniere, gli avvocati Mattia Floccher e Roberto Guida. Nel corso dei loro interventi, hanno sottolineato il carattere non volontario dell’omicidio, anche alla luce di quanto messo agli atti - in sede di interrogatorio - da parte dello stesso imputato: «Ha sparato per difendersi, magari in balìa di un momento di panico», è la versione. E come si spiega la sequenza di quattro colpi esplosi (tre dei quali hanno centrato Ugo Russo) in due momenti di fuoco?
Stando alla versione ricostruita ieri in aula, il carabiniere potrebbe aver fatto fuoco di fronte al pericolo di trovarsi al centro di due pistole puntate. Il militare potrebbe aver agito di fronte al timore di essere preso di mira dalla pistola di Ugo Russo (ripetiamo: senza tappetto rosso), ma anche da una possibile seconda arma. Quale? Quella del complice? A questo punto va ricordato che agli atti non è emerso il sequestro di una seconda pistola riconducibile al complice del 15enne ammazzato. Versioni a confronto, anche alla luce delle perizie depositate agli atti in questa lunga fase preliminare.
Inchiesta condotta dai pm Simone De Roxas e Claudio Siragusa, il caso di Ugo Russo è destinato a rimanere da sempre divisivo, anche alla luce del dibattito legato alla realizzazione del murale del 15enne in zona Quartieri Spagnoli. Una sorta di caso nel caso, nel quale sono intervenuti - in sede amministrativa - i giudici del Tar. Per mesi, infatti, artisti e intellettuali hanno chiesto giustizia e verità per Ugo Russo, nel timore che il silenzio potesse calare su quanto avvenuto tre anni fa in via Orsini. Poi il Tar ha disposto la rimozione del murale, in quanto opera abusiva, alla stregua di quanto avvenuto con tanti altri manufatti e dipinti in strade e monumenti napoletani.
Ma torniamo al processo penale. Cosa accadrà a partire da luglio? Decisivo a questo punto attendere il momento clou, legato all’esame del carabiniere imputato, che potrà rispondere alle domande su quella aggressione a mano armata subita e sulla sua reazione con la pistola di ordinanza. Stessa attenzione per quanto potrebbe dichiarare in aula Ferdinando De Crescenzo, complice del ragazzo ucciso, a proposito di quella scorreria armata a ridosso di via Santa Lucia: con armi al voto di un autista, nella interminabile notte napoletana.