Nisida ringrazia Sanremo: «Così salviamo i ragazzi»

Dal direttore del carcere minorile al sindaco: «Sette minuti al festival preziosi per il futuro»

Il carcere di Nisida
Il carcere di Nisida
di Daniela De Crescenzo
Giovedì 9 Febbraio 2023, 23:58 - Ultimo agg. 10 Febbraio, 16:22
4 Minuti di Lettura

Ad aprire il dibattito è proprio il direttore del carcere minorile, Gianluca Guida: sulla pagina Facebook “Con Nisida nel cuore” posta il video con il monologo della giornalista Francesca Fagnani sui “suoi” ragazzi e chiede il parere di tutti. La giornalista ha raccolto le parole, la rabbia, il disorientamento dei ragazzi del carcere minorile e le ha sbattute in faccia a dieci milioni di spettatori. Servirà? Se lo domandano in molti.

«Portare quelle voci e quel tema in prima serata a Sanremo è stato prezioso», spiega Guida in un post che raccoglie molti consensi. E lo stesso sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, interviene nel dibattito rilasciando una dichiarazione all’Ansa: «Quella che abbiamo ascoltato è stata una lettera molto bella che dice una grande verità: noi ci impegniamo dopo nel recupero di questi ragazzi, quando loro hanno già sbagliato, quando non hanno avuto l’opportunità di poter percorrere la strada giusta. Il tema della dispersione scolastica è la vera sfida del Mezzogiorno e dell’Italia».  

Sette minuti sotto i riflettori, sperano insegnanti e operatori del settore, potrebbero dare una spinta al lavoro di chi cerca di ridare un futuro ai ragazzi che lo hanno perso: «Le voci del carcere minorile di Nisida ricordano a noi tutti, quanto sia importante e necessario intervenire prima», sostiene la presidente della Fondazione Famiglia di Maria, Anna Riccardi. Istruire, ascoltare. Le parole portate al festival della canzone italiana da Francesca Fagnani non sono frutto di un’improvvisazione, come spiega Lucia Montanino che la giornalista ha ringraziato dal palco. Lucia è una donna speciale: moglie di Gaetano Montanino, la guardia giurata che il 4 agosto del 2009 fu uccisa da una gang nel corso di una rapina, ha avuto il coraggio di guardare negli occhi uno degli assassini del marito, ne ha riconosciuto il dolore e lo ha aggiunto al proprio trasformandolo nella speranza della redenzione. Da anni segue il ragazzo, aiutandolo, tra mille ostacoli, a ricostruirsi un futuro. «Ci voleva Sanremo per portare alla luce il dramma di tante vite sprecate» dice con una punta di amarezza. E poi spiega come le parole raccolte dalla Fagnani abbiano trovato la strada per raggiungere milioni di italiani. «L’intervento è nato da un incontro tra me e cinque ragazzi condannati per omicidio all’interno di un laboratorio sul tema della mediazione a cui ha partecipato la giornalista - racconta Lucia – i ragazzi in un dialogo lungo cinque ore hanno più volte ripetuto: “Noi non siamo dei mostri” e da qui è nato il titolo del monologo: non siamo killer per sempre».

Il confronto non è stato facile: i ragazzi sono stati protagonisti di crimini efferati, in alcuni casi hanno ammazzato senza nemmeno rendersene conto e ancora adesso fanno fatica a riconoscere le conseguenze del male. «Si tratta di giovani che vivono in quartieri disperati - spiega Lucia - non fanno sport, non vanno a scuola, e sono convinti di non avere una possibilità.

Conoscono solo la noia e frequentano gruppi dove comandare è importante, per conquistarsi un io riconoscibile anche ai propri stessi occhi non conoscono che la violenza. Noi avremmo dovuto occuparci di loro ai primi segni di disagio, in molti casi non lo abbiamo fatto e adesso dobbiamo interessarci del dopo: fuori dal carcere non hanno niente». 

Video

Per spiegare quando sia difficile ritrovare una strada Lucia racconta di Emanuele Sibillo, il “capo” della cosiddetta Paranza dei Bambini che nel 2015 insanguinò le strade di Napoli. «Sibillo era un ragazzo vivace e intelligente che partecipava alle attività del carcere, tanto da essere presente anche ai campi di Libera. Aveva tante potenzialità, ma quando è tornato a casa si è perso, come tanti prima e dopo di lui. Io stesso faccio fatica ad aprire una strada all’assassino di mio marito che adesso mi chiama mamma. Trovare un lavoro e mantenerlo non è facile e con il lockdown abbiamo dovuto affrontare un disastro. Invece bisogna mettere in campo iniziative capaci di riportare alla vita civile questi ragazzi. A Padova, ad esempio, esiste una rete di cooperative che li seguono quando si lasciano alle spalle la galera».

«Conviene a tutti che quel rapinatore, che quello spacciatore una volta fuori cambi mestiere», ha concluso Francesca Fagnani. E quando le luci di Sanremo si saranno spente forse sarà arrivato il momento, per ognuno di noi, di fare due conti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA