I quattordici anni a Napoli del cardinale Sepe: «Dalla crisi rifiuti al Coronavirus. Ora basta assistenza, serve sviluppo»

I quattordici anni a Napoli del cardinale Sepe: «Dalla crisi rifiuti al Coronavirus. Ora basta assistenza, serve sviluppo»
di Pietro Perone
Domenica 12 Luglio 2020, 09:33 - Ultimo agg. 17:03
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Quattordici anni alla guida della chiesa napoletana e a capo della conferenza campana dei vescovi, un periodo lungo che ha consento al cardinale Crescenzo Sepe di avere una visione profonda dei mali e delle risorse non sfruttate di questa terra. Anni complicati, cominciati nel pieno dell'emergenza rifiuti, quando Napoli era la carta sporca d'Europa, e approdati all'emergenza Covid che ha lambito lo stesso Sepe da vicino: il suo segretario particolare ricoverato al Cotugno e la paura di un possibile contagio in Curia. Un mese prima di compiere settantasette anni e completare anche il biennio di proroga. Così come è già avvenuto per Angelo Bagnasco, ex presidente Cei ed ex cardinale di Genova, si attende ora che il Papa decida il successore. In questo colloquio proviamo dunque a fare un bilancio di questi terribili mesi e di volgere anche lo sguardo al passato quando la lunga traversata di Sepe alla guida della chiesa napoletana volge al termine.

Il virus è dietro l'angolo, ma ora la grande emergenza è quella economica. Lei che in questi mesi è stato impegnato in una lunga serie di iniziative di solidarietà vede una luce in fondo al tunnel?
«C'è sempre il nuovo giorno dopo il buio della notte. Guai a non crederci. Sarebbe una vita senza senso dal punto di vista cristiano, perché non si può vivere senza la speranza del cambiamento, del rinnovamento, del futuro migliore e, per i credenti, del Paradiso dopo la morte. Sarebbe anche disumano non darsi un obiettivo. Non solo vedo una luce al di là del tunnel, dunque, ma vedo che da quella luce già ci stiamo facendo guidare, anche se intanto è cresciuto il numero dei poveri. Penso alla esplosione di energia e di voglia di ricominciare e di fare che c'è stata a conclusione dell'isolamento forzato e di sospensione delle attività. Secondo un vecchio detto il napoletano si piega ma non si spezza. Ed è proprio così. Si è ripreso indubbiamente con regole nuove, con difficoltà, con qualche ferita sul corpo, ma quasi tutti hanno accettato la sfida, rimboccandosi le maniche e agendo con coraggio per costruire il riscatto. Ma questo sforzo potrà avere successo se l'ottimismo della volontà riuscirà a prevalere sul pessimismo della ragione. Questo richiede che nessuno deve essere abbandonato a se stesso, ma deve essere accompagnato, capito e sostenuto dalle Istituzioni attraverso agevolazioni e snellimento delle procedure. Altrimenti il buio continua e soffoca l'esplosione di vita».

L'emergenza Covid ci ha lasciato una città più dolente di prima: la Chiesa è in campo, ma il resto? Ha mai provato in questi mesi un senso di solitudine?
«È vero. Siamo usciti da questi mesi di pandemia da Covid-19 abbastanza fiaccati, disorientati e sconvolti. Diversi artigiani, commercianti e imprenditori hanno ceduto sotto il peso della lunga chiusura dell'attività. Molti hanno perduto il lavoro. Tante le famiglie in difficoltà finanziaria. È aumentato l'indice di povertà. Eppure non sono mancate da parte della classe dirigente misure di sostegno che però sono state giustamente finalizzate alla sopravvivenza. Anche la Chiesa locale è stata in campo, attraverso la sua organizzazione diocesana e attraverso i parroci che, al di là delle chiese chiuse e della sospensione di ogni cerimonia religiosa, mai hanno smesso di stare accanto alle famiglie. Certo, non mi sono mancati momenti di triste solitudine non potendo incontrare i miei sacerdoti e le comunità parrocchiali, o quando ho dovuto pregare per i defunti stando solo davanti al cancello chiuso del cimitero. In quella occasione e sempre la preghiera mi è stata di grande conforto così come lo è stato l'accompagnamento concreto di aziende e persone generose che si sono rivolte a me per aiutare le famiglie in difficoltà, per cui si è avuto modo di rispondere in maniera adeguata e nella misura possibile alla domanda di aiuto materiale che cresceva ogni giorno. Lo abbiamo fatto donando viveri, medicinali e assistenza di vario genere, ma anche mettendo in piedi una struttura di accoglienza come la Casa per i Senzadimora al fine di sottrarre persone povere e sole al rischio della strada e quindi del contagio. Ora questa Casa, nata con il carattere della provvisorietà rispetto all'emergenza sanitaria, è stata trasferita per durare nel tempo e assumere, quindi, una dimensione strutturale sul piano della carità e della solidarietà. Questa la logica che ora dovrebbe guidare tutti: non più misure provvisorie anche se necessarie, ma un organico piano di interventi per lo sviluppo».

Anche i religiosi sono stati fortemente colpiti dall'epidemia: il virus è arrivato a pochi metri da lei facendo ammalare un suo strettissimo collaboratore. Come ha vissuto quei giorni?
«Abbiamo vissuto tutti giornate di grande ansia e preoccupazione per il pericolo di contagio, per il ricovero di persone conosciute, per il decesso di molti contagiati. Ricordo che tra le migliaia di vittime del cononavirus in Italia ci sono stati 121 sacerdoti. Non sono mancati, quindi, momenti di trepidazione, di sofferenza e di dolore per quanto di drammatico stava accadendo. Come Arcivescovo della Diocesi di Napoli, ho temuto molto per il rischio cui si sottoponevano i miei sacerdoti e parroci ed ho sofferto tanto per l'attacco virale subito dal mio Segretario e da alcuni altri miei sacerdoti, ma ho sofferto anche per quelli che purtroppo sono rimasti contagiati e sono stati ricoverati per essere curati e salvati. Ho trascorso intere giornate in solitudine e in preghiera, tenendomi informato attraverso amici medici e dirigenti ospedalieri. Tutto era cambiato nella vita di ciascuna persona. Ci si interrogava sulle conseguenze della crisi sanitaria, che sembrava non avere termine, e sulla riapertura delle chiese per la celebrazione della Messa e per le cerimonie religiose».
 


Ha voluto ringraziare il personale sanitario con una messa in piazza del Plebiscito: sono stati gli eroi di questi mesi ma possiamo pensare che emergenze così devastanti possano essere affrontate solo con l'abnegazione di tanti?
«Ho ritenuto doveroso che la Chiesa diocesana, interpretando i sentimenti di tutti, ringraziasse pubblicamente quanti, direttamente o indirettamente, si sono spesi, a partire dai medici e dagli infermieri, per soccorrere e aiutare persone e famiglie in difficoltà a causa dell'imperversare del terribile virus. Per questo ho voluto che la celebrazione della Messa, in memoria e suffragio delle tante vittime, avvenisse in piazza del Plebiscito come momento di incontro, di riflessione e di preghiera dell'intera comunità cittadina e regionale. Posso dire che è stata una bella celebrazione, solenne, sobria e sentita, cui hanno preso parte, entro i limiti consentiti, personale della sanità, istituzioni e popolo di Dio. Il nostro pensiero orante è andato a chi ha lasciato questa vita terrena e a quanti si sono esposti, professionalmente e umanamente, fino al sacrificio estremo, come purtroppo è capitato in tanti casi. Da loro ci è stato offerto un esempio meraviglioso di abnegazione, di responsabilità civica e anche di pietà popolare. Il loro impagabile impegno ha certamente sopperito alla inadeguatezza dell'intero sistema, ma bisogna riconoscere che tutto è avvenuto quasi improvvisamente e inspiegabilmente, non conoscendo le origini e la natura del virus, la sua forza distruttiva la terapia necessaria, almeno nella fase iniziale, e l'antidoto giusto mancando anche un apposito vaccino. Certamente, dalla triste e grave esperienza fatta in questi mesi viene fuori un monito e un invito, a quanti ne hanno la responsabilità e il potere, perché con saggezza si preveda e si prevenga, con lo studio e la organizzazione, ogni possibile male. Estote parati, ci dice la Scrittura».

Il Cotugno, eccellenza italiana, è stato all'altezza del compito, ma in questi drammatici mesi sono venuti fuori tutti i guasti di una sanità per troppo tempo rimasta senza fondi, in Campania come altrove. La Chiesa, con il suo reticolo di volontariato e solidarietà può essere di aiuto, ma il resto?
«Io capisco l'amarezza e la severità dell'analisi e del giudizio, ma non si può generalizzare perché nel sistema sanità non mancano positività ed eccellenze, come ha dimostrato l'ospedale Cotugno, che si è imposto all'attenzione e all'ammirazione del mondo intero. Non vi è dubbio che bisogna alzare sempre di più l'asticella della efficienza per puntare sempre al meglio, dando spazio e risorse alle eccellenze che vi sono, ma non dimentichiamo che abbiamo carenze strutturali antiche, che comunque si stanno sanando, e che occorre sempre fare i conti con le risorse finanziarie disponibili che sono risultate inadeguate anche per la inadeguatezza economica del sistema Italia in questi anni».

Lei è cardinale di Napoli dal 1° luglio 2006: è l'Autorità che  più di ogni altra  ha una visione lunga della metropoli: che giudizio dà di questi anni?
«Sono stati anni di sofferenza ma anche di trasformazione della vita della città. Quasi all'inizio del mio ministero episcopale a Napoli trovai una popolazione delusa e derisa per la gravissima crisi determinata dai cumuli di rifiuti che deturpavano luoghi e immagini della città. Io stesso a Roma venivo ingiustamente chiamato il Cardinale della monnezza per colpe che appartenevano alla classe dirigente dell'epoca, che sembrava smarrita e incapace di una indispensabile soluzione. In quella occasione diedi voce a chi non aveva più voce, scuotendo le coscienze dei responsabili e invocando la intercessione e l'intervento di San Gennaro che portai in processione perché il nostro Patrono è sempre stato con il popolo, con i suoi figli e fratelli. Ricordo che non si vedevano più turisti, mentre la delinquenza organizzata cerava di inserirsi nell'affare. Da allora, occorre riconoscere che la città è cambiata, è migliorata, è cresciuta nella mentalità delle istituzioni, degli operatori economici, dei cittadini. Più pulita, più ordinata, meglio servita nei trasporti grazie anche e soprattutto alla metropolitana che va verso il completamento con una maggiore estensione. La Chiesa di Napoli non è stata a guardare: non solo ha fatto la sua parte sul piano della carità cristiana tanto da incentrare tutta l'attività pastorale sulle sette opere di misericordia corporale, ma ha offerto anche la sua collaborazione in tante occasioni e in tanti modi per far uscire dal torpore risorse e intelligenze. Basti pensare agli effetti del Giubileo straordinario per Napoli che coinvolse tutti i settori della società che allora, ma ancora oggi, fecero a gara per esprimere al meglio il proprio apporto per il riscatto e la rinascita della città. Credo che in questi anni, in sinergia, siano state poste le basi per una grande Napoli, degna del suo passato e della sua storia».

Quale terreno trova la Chiesa nel groviglio delle diverse culture, religioni, contraddizioni economico e sociali?
«La Chiesa continua a muoversi e ad operare nel rispetto delle diversità, dando il proprio contributo per il superamento delle ingiustizie e delle contraddizioni di ordine economico e sociale, per combattere le illegalità, per difendere gli interessi generali della comunità. La Chiesa non sarà mai di parte, perché Cristo si è fatto uomo per unire e non per dividere, per salvare e non per condannare, per seminare amore e non odio, per restituire all'uomo la dignità perduta».

La Conferenza regionale dei vescovi, di cui lei è presidente, ha esercitato negli anni un forte ruolo sui drammi di questa terra, dalla criminalità organizzata alla devastazione ambientale: oggi quale dovrà essere il fronte principale dell'impegno dei Vescovi.
«La Conferenza Episcopale Campana è stata sempre attenta alle problematiche sociali calandosi nel contesto proprio di ciascun territorio, per cui si è sempre espressa e impegnata rispetto alle grandi questioni. Ora restano due temi su tutti, oltre alla difesa dell'ambiente: lavoro e giovani. Non si può prescindere da queste due grandi questioni che attengono al futuro dell'intera comunità regionale. Da qui l'appello ai governanti: aiutate le imprese a sopravvivere e a crescere per creare lavoro; non tradite le attese dei giovani, che da anni stanno in lista d'attesa».

Si conosce il cardinale Sepe sorridente, ottimista e grande organizzatore ma anche lei avrà avuto in questi anni momenti di amarezza: quale è stata la più grossa?
«Aver visto Napoli derisa e offesa nel mondo per la crisi dei rifiuti».

E le critiche per non essere intervenuto su alcuni casi di abusi sessuali denunciati?
«Sono state critiche e accuse ingiuste, perché, come è stato riconosciuto anche dalle Autorità preposte, non ho mai mancato di avviare tutte le possibili indagini per offrire elementi di valutazione all'autorità giudicante che mai ha condannato un mio sacerdote in questi anni».

Quale deve essere la missione di un vescovo metropolita in una terra difficile come questa?
«Incarnare il Vangelo della carità e dell'amore. Quella napoletana è gente da conoscere, capire e amare. Sa donare il proprio cuore e aprire le porte della propria casa, ricca o povera che sia».

Quattordici anni: la più grande soddisfazione e il rammarico più grosso?
«Il Giubileo straordinario per Napoli, che portò al risveglio delle coscienze e all'impegno comune per la rinascita della Città, nonché la visita pastorale di due Pontefici, Benedetto XVI nel 2007 e Papa Francesco nel 2015, e l'incontro mondiale dei massimi esponenti di tutte le religioni nel 2007. Resta il rammarico di non essere riuscito a concretizzare il progetto di Napoli capitale mondiale della pace».

A quale brano del Vangelo si sente più vicino in questo momento?
«Al Vangelo di Matteo che riporta il discorso della montagna sulle beatitudini».

 

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