Poliziotta violentata a Napoli: «Ho fatto condannare chi mi stuprò, alle donne dico di non arrendersi»

Il racconto di Alessandra Accardo, la poliziotta eroina di Napoli vittima di una violenza all'interno del porto

Alessandra Accardo
Alessandra Accardo
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Martedì 12 Settembre 2023, 10:55 - Ultimo agg. 14:49
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Ci ha messo la faccia ed ha intenzione di guardare negli occhi le vittime di violenza. Di parlare con loro, di farlo da donna che si porta addosso i segni indelebili di una violenza subita. Eccola Alessandra Accardo, la poliziotta eroina di Napoli, vittima di una violenza all'interno del porto di Napoli, capace di resistere a un tentato omicidio, di chiamare i colleghi e di far arrestare il suo aggressore. Una storia consumata la notte tra il 19 e il 20 ottobre scorsi, all'interno del garage del Porto di Napoli. Venne arrestato un cittadino bengalese, pochi mesi fa condannato a 14 anni di reclusione per violenza sessuale e tentato omicidio, al termine del primo grado di giudizio. Oggi Alessandra Accardo ha deciso di raccontare la propria storia. E di farlo in chiaro. Di metterci la faccia, di mostrare il proprio sguardo di donna capace di rialzarsi dopo una ferita subita. E di parlare a chi - a partire dalle donne - subisce violenze o angherie, senza trovare la forza di reagire.

Ma ecco la testimonianza resa da Alessandra Accardo ai microfoni del Tg3, ieri notte ribadita al Mattino.

Difesa dal penalista Paolo Granato, l'agente ripercorre attimi interminabili, dopo essere stata colpita alla testa e al volto, mentre stava prendendo possesso dell'auto per fare ritorno a casa: «Pregavo di lasciarmi vivere, lo supplicavo di aver pietà, dentro di me sapevo che non sarei mai più tornata a casa». Poi la capacità di divincolarsi, di raccogliere informazioni preziose e di chiamare aiuto. Di appellarsi ai colleghi, consentendo loro di far scattare gli arresti del bengalese. Poi il processo, la condanna in primo grado. Spiega oggi Alessandra: «Non bisogna darla vinta al male, non bisogna arrendersi. Ma, soprattutto, non bisogna mai rinunciare a rivendicare la propria dignità».

Vita di agente a Napoli, che diventa anche testimonial della lotta del bene contro ogni genere di sopraffazione: «È un ruolo che sento mio ogni giorno che passa. Incrocio sguardi di ragazze che mi confidano di non avere il coraggio di raccontare le storie di violenza vissute. È decisivo confrontarsi su un punto: nessuno deve provare vergogna per un torto subito. Anzi. Nessuno deve avere paura di denunciare o di soffrire in silenzio, il vero obiettivo consiste pertanto nell'acquisizione di una nuova forma di consapevolezza da parte di chi è vittima».

Ed è un appello che assume una drammatica forma di attualità anche alla luce degli ultimi casi di femminicidi consumati in altre città italiane. Spiega Alessandra Accardo: «Ho incontrato delle ragazze, con loro sono partita da una premessa: ho detto loro, che a tanto male bisogna rispondere con tanto bene, che sta alla base di ogni nostro gesto». E, rivolgendosi agli uomini: «Bisogna spingerli a raggiungere una nuova forma di consapevolezza. Perché chi impara a rispettare gli altri conquista una dignità diversa, diventa una persona migliore».

 

Ma Alessandra racconta anche quanto sia rimasta influenzata dall'esperienza che le è toccato vivere. Proprio vivendo una vicenda del genere, ho avuto la conferma che dietro i processi e gli articoli di giornale ci sono le persone, le vite vissute, il travaglio fisico e spirituale di chi viene offeso e umiliato. È capitato anche a me, quando supplicavo il mio aggressore di lasciarmi vivere, dopo che ero stata immobilizzata con durissimi colpi alla testa».

Il resto della storia viene scritto nelle motivazioni della sentenza, giunta al termine del processo condotto grazie al lavoro investigativo del procuratore aggiunto Raffaello Falcone. È stato il gup Colucci a firmare la condanna in primo grado, con un verdetto atteso in apnea da tanti colleghi di Alessandra: «Erano tutti lì, accanto a me, mi hanno accudito e mi hanno dato forza. Ci fu un applauso dopo la condanna, a dimostrazione che nessuno è solo di fronte alla violenza e che la testa deve rimanere alta contro il male subìto». 

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