Una notte assieme alla polizia. Un appuntamento segreto, decisamente sotto traccia, lontano da occhi indiscreti, per sfuggire alla morsa della camorra. Eccoli i protagonisti di questa storia: sono due commercianti di Chiaiano che hanno deciso di denunciare il racket, di ribellarsi a ogni forma di prepotenza, rivolgendosi alle istituzioni. E lo hanno fatto, calando sul tavolo degli inquirenti una sorta di asso nella manica: il contenuto delle registrazioni ricavate all'interno del proprio negozio (tra audio e filmati), che hanno raccolto la scena madre della violenza subita. Quella dello scorso 12 dicembre, quando - a leggere gli atti - alcuni presunti camorristi hanno imposto l'aut aut: 1500 euro, il pizzo di Natale.
Parte così l'inchiesta culminata in sette fermi, a carico di presunti estorsori che hanno taglieggiato un pezzo di economia in zona Chiaiano. Sette fermi firmati dal pm Maria Sepe, titolare delle indagini che hanno consentito di smantellare la presunta propaggine di abbasc Miano, erede del clan Lo Russo.
Ma chi sono i presunti estorsori finiti in manette? Partiamo dalle parole intercettate alcune settimane fa, che vedono protagonista Luciano Carbone, che sembra alludere al suo ruolo di camorrista locale come a una sorta di missione: «Io ho sposato una causa - dice a proposito del racket -, io ho sposato una causa da piccolino: nei sette palazzi sto compiendo abusi su tutti quanti».
Parole che fanno riferimento a un'azione capillare, consumata sulla pelle di diversi esercizi commerciali. Ma in cosa consistono le accuse che hanno provocato l'applicazione del fermo? Ad essere presi di mira sono tre fratelli, che lavorano in un negozio di articoli sportivi, finiti al centro di un vero e proprio pressing di ricatti e minacce. In un primo momento - e siamo a settembre del 2022 - avrebbero chiesto abbigliamento sportivo per cinquecento euro, provando ad accendere una linea di credito ovviamente fittizia. Soldi che non sarebbero mai arrivati, al punto tale da spingere i titolari del negozio di articoli sportivi a fare quadrato. Basta credito, basta pizzo. Come è andata a finire? Rabbiosa la reazione dei presunti estorsori, che si ripresentano all'interno del negozio. Latrano minacce di morte: «Avete dieci minuti per chiudere, se non pagate vi schiattiamo la testa...». E in tempo reale, i commercianti sono costretti a chiudere bottega. Ma non è finita. Passano mesi, si avvicina Natale, scatta la terza rata, almeno secondo la ricostruzione finita al vaglio della Procura.
Cosa accade? C'è una richiesta di 1500 euro a titolo estorsivo, ma anche il tentativo di imporre gadget tipo agendine, penne e calendari, in cambio di 150 euro. Siamo a dicembre, nel negozio viene sistemata una telecamera collegata a un cellulare. Tutto viene ripreso in tempo reale. Vale la pena di ricordare che proprio in questa zona, nel corso degli ultimi anni, sono stati smantellati i due cartelli criminali che si sarebbero avvicendati nella gestione del racket e della droga, all'indomani dello smantellamento del clan Lo Russo: parliamo di quelli di abbasc Miano (clan guidato da Matteo Balzano e dai suoi fedelissimi Gianluca D'Errico e Salvatore Scarpellini, scrive il pm) e dal clan ngoopp Miano, che farebbe capo a Luigi e Gaetano Cifrone. Zona calda, decisamente a rischio, nella quale - a fine anno - è avvenuto qualcosa di inedito: le vittime denunciano in un ufficio della Mobile. Di notte, aspettando una nuova alba.