Stop a benzina e diesel, per il Sud futuro da incubo: a rischio 70 mila posti di lavoro

Il mercato italiano dell'auto ha vissuto «uno degli anni peggiori dell'ultimo mezzo secolo»

Operai Stellantis al lavoro
Operai Stellantis al lavoro
di Nando Santonastaso
Mercoledì 15 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:58
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Settantamila posti di lavoro a rischio, il numero da mesi è sempre lo stesso. Lo ribadiscono i sindacati metalmeccanici, lo rilanciano le aziende della componentistica, le più esposte alla svolta. Il via libera definitivo dell'Europarlamento allo stop nel 2035 alle auto con motori diesel e benzina può mettere nei guai soprattutto l'Italia, come ha più volte spiegato l'Anfia, l'Associazione guidata da Paolo Scudieri che rappresenta l'intera filiera nazionale automobilistica. Nella sola produzione di componenti per motori termici sono impegnate 2.200 aziende, il 25% nel Mezzogiorno, per circa 160mila addetti, capaci di garantire un fatturato di oltre 50 miliardi di euro all'anno. I 70mila posti a rischio sono concentrati per lo più qui, distribuiti in 445 aziende quasi tutte di piccole e medie dimensioni: per loro il futuro può diventare seriamente un incubo. «Ma le conseguenze delle scelte europee sono destinate anche a riflettersi sulle persone che lavorano nelle sedi dei concessionari, nelle riparazioni dei veicoli e nella distribuzione di carburanti. Attività che forniscono lavoro a circa 570 mila persone per un valore della produzione equivalente al 16% del Pil» ricorda l'ex segretario confederale della Cisl Natale Forlani sul Sussidiario.net di pochi giorni fa.

Nell'aria, peraltro, il via libera di Strasburgo. «Sapevamo ormai che si sarebbe andati in quella direzione» commenta Ferdinando Uliano, leader dei metalmeccanici Cisl per il settore auto.

E aggiunge: «Non a caso, le grandi compagnie dell'auto si stanno già muovendo, per loro addirittura le produzioni dei motori esotermici dovrebbero diventare obbligatorie dal 2030. Con il paradosso però che dal 2025 dovranno essere realizzati i nuovi motori Euro 7, ovvero bisognerebbe investire in una produzione che dopo 5 anni non dovrà esistere più. Chi volete che sia davvero interessato a spendere questi soldi?». 

L'Italia dell'automotive tra la necessità della corsa all'elettrico e il rischio di non farcela. I sindacati preoccupati della mancanza di scelte di politica industriale, ovvero della previsione di interventi e sostegni in grado di accelerare le transizioni verso i nuovi motori e di tutelare la manodopera che potrebbe non risultare più utile. Come nelle fabbriche di assemblaggio, ad esempio: i pezzi che occorrono per un motore elettrico sono infinitamente di meno rispetto a quelli tradizionali. «Il ministro Urso ci ha confermato la disponibilità di risorse per 6 miliardi per i prossimi 6 anni ma difficilmente basteranno ad evitare pesanti contraccolpi su aziende e lavoratori», insiste Uliano. Il rischio che l'Italia possa approvvigionarsi all'estero per le componenti che non riuscisse a produrre in casa non sembra affatto remoto. «La nostra componentistica è strutturalmente più debole rispetto a quelle dei Paesi competitor europei e americani», dice il sindacalista. 

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Di sicuro a leggere le immatricolazioni del 2022 si ha la conferma della delicatezza delle nuove sfide. Il mercato italiano dell'auto ha vissuto «uno degli anni peggiori dell'ultimo mezzo secolo», nonostante la crescita a doppia cifra di dicembre. Poco più di 1,3 milioni di immatricolazioni, in calo del 9,7% rispetto al 2021: ma se il confronto si fa con il 2019, l'anno prima della pandemia, la flessione sale al 31,3%. Gennaio 2023 per la verità ha fatto registrare un balzo delle vendite pari a 123mila circa, il 19% in più di gennaio 2022, sesto mese consecutivo positivo a conferma di una certa inversione di tendenza, dovuta - sottolinea il Centro Studi Promotor - al miglioramento delle forniture di microchip. «Ma il ritorno a livelli normali per il mercato italiano, cioè superiori a 2.000.000 di unità annue, appare ancora molto lontano». Del resto, anche sul fronte della transizione verso l'elettrico, nonostante gli incentivi varati dal governo a sostegno della domanda, le cose non stanno andando benissimo: Federauto, la Federazione nazionale dei concessionari, ricorda che la quota di mercato delle auto elettriche è scesa nel 2022 dal 4,6% al 3,7% e si è registrato il peggior andamento tra i più grandi mercati in Europa. Il ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica ha stanziato 713 milioni di euro per l'installazione di nuove prese di ricarica nell'arco del prossimo triennio (nelle sole aree urbane arriveranno 13.755 colonnine da 90 kW, mentre sulle superstrade saranno installati altri 7.500 punti da 175 kW) ma l'incognita occupazionale rimane: 70mila lavoratori in meno non se li può permettere nessuno, soprattutto l'Italia. 

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