Terrorismo, un algerino rivela: «Lo stragista dell'Isis di Bruxelles comprò documenti falsi a Napoli»

Terrorismo, un algerino rivela: «Lo stragista dell'Isis di Bruxelles comprò documenti falsi a Napoli»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 2 Novembre 2017, 10:02 - Ultimo agg. 3 Novembre, 11:12
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Passaporti falsi fabbricati a Napoli e girati ai terroristi dell'Isis. Documenti finiti in tasca a chi ha svolto un ruolo da protagonista negli attentati nell'aeroporto di Bruxelles, quelli di marzo 2016, che provocò decine di morti e centinaia di feriti. Sono questi i punti più delicati del racconto reso ai carabinieri di Napoli da un cittadino algerino di quarantuno anni, venti dei quali trascorsi a Napoli e in altre regioni italiane.

È lui ad aver raccontato un retroscena che, se venisse confermato, rappresenterebbe una svolta nelle indagini sul terrorismo di matrice islamica. Stando al racconto dell'algerino - si chiama A. A., classe 1976 - a Napoli sarebbe stata attiva una donna, di nazionalità marocchina, che ha fabbricato passaporti falsi poi consegnati ad uno dei registi dell'attentato del 22 marzo, con le due bombe deflagrate in aeroporto e nella metro, provocando terrore tra migliaia di passeggeri e turisti.

Strana storia quella di A. A., che trova nella paura il lei motiv, dalla prima all'ultima riga di quelle tre pagine firmate lo scorso gennaio dinanzi ai carabinieri del nucleo radiomobile. Da allora, da quel giorno in cui verbalizzò accuse precise nei confronti della sua ex compagna, non è stato mai convocato o interrogato per ulteriori approfondimenti. Eppure quel verbale è finito dinanzi ai giudici del Tribunale di Napoli, in un processo per lesioni personali.

 

Ma partiamo dall'antefatto. Siamo tra porta Capuana e via Rosaroll, una delle zone a più alta densità di immigrati nordafricani, dove spesso non c'è linea di confine tra la sopravvivenza, l'esigenza di sbarcare il lunario e attività illegali e pericolose. È qui che A.A. si confida con un connazionale, gli spiega le paure che prova in relazione ai traffici della sua ex compagna. Ed è a questo punto che entra nel suo racconto la donna dei misteri, «Fara» (nome di fantasia, anche se nel verbale è specificato per intero anche il cognome), che viene accusata di fare traffici illeciti, fabbricando e vendendo passaporti per i connazionali.

Tutto qui? C'è dell'altro, come ricostruito dall'algerino dinanzi ai carabinieri del nucleo radiomobile. In sintesi, dopo le prime confidenze ad un connazionale, A.A viene convocato in un appartamento di via Cesare Rosaroll dalla stessa donna e dal suo nuovo convivente. Viene minacciato, aggredito, picchiato e ferito. Ma riesce a fare salva la vita, scappando via e presentandosi ai carabinieri. Ed una volta dinanzi ai militari del radiomobile, che A.A. rompe gli indugi e dà fondo alle accuse nei confronti di Fara. In sintesi, verbalizza la presunta parte offesa del pestaggio: «Posso confermare che Fara lavora per un pakistano che gestisce un internet point con cui vengono trasmessi soldi agli extracomunitari, da Fara giungono vari clienti nordafricani residenti da tutta Europa, a cui consegna documenti falsi. La stampa dei documenti avviene a casa di Fara».

Nulla di rilevante, se non fosse per le parole che seguono: «Sono a conoscenza del fatto che Fara abbia fornito documenti falsi al marocchino che ha compiuto l'attentato presso l'aeroporto di Bruxelles, che è un amico di Fara e che ha avuto documenti falsi stampati da Fara, la quale ha fornito in due occasioni un totale di 19 passaporti al suo amico marocchino. Quest'ultimo - aggiunge - dopo aver pagato, li trasportava e li distribuiva ai suoi amici dell'Isis».
Tutto chiaro? Ammesso che sia vero il racconto fatto dall'algerino, c'è anche un passaggio finale che arricchisce di suggestioni la storia della donna marocchina: «Ho assistito personalmente allo scambio di passaporti, ma solo dopo aver visto il volto del marocchino in televisione, parlo dell'autore della strage, ho collegato quel marocchino a Fara. E per questo ora ho paura».

Un racconto tutto di un fiato, dopo essersi medicato dalle ferite provocate dall'aggressione subita da Fara e dal suo attuale compagno. Ed è proprio in questa seduta, che è poi l'unico faccia a faccia che l'algerino avrà con le forze dell'ordine italiane, che il 41enne ribadisce la paura di subire vendetta dal gruppo che fa capo alla sua ex compagna. «Temo per la mia incolumità personale, in quanto più volte minacciato da Fara, ma anche dai suoi amici. Mentre venivo curato oggi (il riferimento è sempre al litigio dello scorso gennaio, ndr) presso il pronto soccorso del San Paolo, sono stato raggiunto da una telefonata di un anonimo che mi chiedeva di non rivelare i segreti di Fara, altrimenti mi avrebbero ucciso».

Stando al racconto dell'algerino, la donna sarebbe comunque scappata all'estero. E l'uomo chiarisce: «Non sono in grado di riferire se Fara sia un'appartenente all'Isis, sono però certo che ha fornito i documenti ad Ahmed (attentatore di Bruxelles)». Parole da brividi, che non sembrano però avere avuto esiti di natura investigativa.
Difeso dal penalista Giacomo Pace, A.A. è parte offesa in un processo per lesioni, mentre di Fara e della sua rete di contatti si è persa ogni traccia. E il suo verbale finisce dinanzi a un giudice del Palazzo di giustizia, tra le tante carte che quotidianamente raccontano di aggressioni, piccoli furti, risse e altri reati di basso cabotaggio.

Fatto sta che, stando ai bene informati sembra confermato che la donna non sia più a Napoli, ma all'estero, mentre anche la sua stamperia avrebbe chiuso i battenti. Scenario tutto da verificare, a partire proprio da quelle dichiarazioni messe agli atti dall'extracomunitario di origine algerino. Non risulta che sia stato ancora interrogato per ulteriori chiarimenti dai reparti investigativi più avanzati del Paese e non è dato sapere se sono state compiute delle verifiche sui presunti contatti tra la donna e gli attentatori di Bruxelles.

Una vicenda che assomiglia alla storia del ghanese Mohamed Alì Taihru, bloccato in un vicolo di Vicaria una decina di giorni fa, con ottomila documenti falsi. Anche in questo caso, non ci sono prove di contatti con estremisti di matrice islamica, ma il numero di documenti rinvenuti dagli uomini della Municipale ha riproposto la questione della prevenzione contro l'incubo Isis. Come ha raccontato il Mattino lunedì scorso, sui suoi traffici tutto era noto almeno da cinque anni, ma i controlli nei suoi confronti sono via via evaporati, offrendo impunità e mano libera a uno che poteva gestire un traffico di documenti di rilievo europeo.

Napoli officina del falso, città porosa che offre sostegno e appoggi logistici anche a soggetti in odore di estremismo, ora arriva la conferma nel verbale firmato da un cittadino algerino. Che dice di aver paura, di essere stato picchiato, di temere per la sua vita. Ma che non esita a raccontare qualcosa della vita di Fara, in uno scenario che va preso in modo neutro. Potrebbe aver raccontato la storia della sua ex convivente per rancore o gelosia, potrebbe essere un megalomane, un esaltato, un personaggio senza fissa dimora con il solo interesse di avere l'assistenza dello Stato italiano. Possibilità uguali e contrarie, che dovrebbero (ma il condizionale è doveroso) essere comunque finite al vaglio di un pm, in uno scenario da brividi.

Insomma, cosa accadrebbe se si scoprisse che i terroristi dell'Isis hanno trovato in un domicilio del borgo di Sant'Antonio Abate il proprio ufficio di corrispondenza? E quanto sono veri i contatti tra questa fantomatica donna di origine marocchina eil terrorista autore della strage del marzo 2016?

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