Non hanno avuto alcun dubbio, al termine della primissima fase investigativa: c’è la gravità del fatto, l’evidenza della prova e lo stato di detenzione in cella dell’imputato. Quanto basta a spedire una richiesta di rito immediato a carico dell’uomo accusato di aver ucciso la quarantenne Ornella Pinto. Una svolta che è figlia del lavoro investigativo condotto dalla Procura di Napoli (sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Raffaello Falcone, titolare delle indagini sulle cosiddette fasce deboli), che chiede il processo a carico di Giuseppe Iacomino, l’uomo che si introdusse nella propria ex abitazione e uccise nel sonno la donna con cui aveva vissuto e da cui aveva avuto un figlio di appena tre anni. Chiaro il ragionamento della Procura. C’è la confessione dell’imputato (che punta però a respingere l’accusa della premeditazione, sostenendo la tesi di un raptus di violenza maturato nel corso di un litigio); la testimonianza resa dai parenti di Ornella; ma anche l’autopsia, che attesta una verità straziante, difficile da digerire: Ornella venne uccisa nel sonno, dopo che l’uomo si era introdotto in casa (aveva ancora le chiavi, dopo essersi allontanato), di notte e armato di coltello (che aveva prelavato da un suo albergo, in zona vesuviana).
Poi quei messaggini via whatsapp, di appena un giorno prima: «Ho perso un tesoro, tu sei la cosa più bella che mi potesse capitare nella vita... anche se non ho le spalle larghe per poter affrontare questa nuova condizione». Parole rassicuranti, prima dell’epilogo drammatico: quindici coltellate, a ripetizione, la prima tra le spalle e il torace, mentre. Ornella dormiva rivolta sul fianco. Un dato che smentisce le prime dichiarazioni rese da Iacomino, una volta consegnati i polsi ai carabinieri in provincia di Terni, dopo aver ammazzato la moglie. Ricordate la sua ricostruzione? Quella notte, stanco di dormire in auto, era andato a casa per intrecciare un dialogo con Ornella - aveva detto ai carabinieri -, dando inizio a un litigio dalle conseguenze drammatiche: «Abbiamo litigato, è stato un momento, ho preso un coltello dalla cucina e l’ho colpita. Il primo fendente al petto». Falso, secondo l’equipe di medici guidata da Pietro Tarsitano. Secondo il gip Saverio Vertuccio, la ricostruzione dell’uomo non è aderente alla realtà.