«Basta con questa storia dell'inclusione. Come fai a includere i ciccioni se non c'entrano?». Non piacerebbe certo ai censori di Roald Dahl e ai fanatici della cancel culture, il bodyshaming di Angelo Duro nel suo spettacolo «Sono cambiato». Del resto chi conosce il comico palermitano o lo ama o lo evita. Intanto il suo tour riempie i teatri d'Italia (e non solo), dopo l'incursione notturna sanremese in fascia super «protetta». Qualcuno a Torino non ha gradito: una signora lo ha contestato e ha abbandonato la sala. A Napoli no. A Napoli - al Bellini, in due serate sold out - Duro è stato accolto, per i primi cinque minuti, da insulti ed elogi, mentre lui restava in silenzio. Un gioco autorizzato da lui stesso, in fondo. In un'ora e mezza di monologo, in stile stand-up comedy, a dispetto del titolo Duro non è cambiato per niente, «se non in peggio», come ha precisato. Se prima era un omofobo dichiarato, dice, ora è un «omofobo in silenzio», un «omofono». Guardando ai cattivissimi Ricky Gervais e Louis C.K., dimostra un che di programmatico nello scegliersi tutti i bersagli del «politicamente corretto». Bodyshaming, catcalling («meglio le molestie che l'indifferenza»), battute su disabili («mi metto nel parcheggio degli invalidi per provare empatia»), animalisti, malati di cancro...
La dinamica sadomasochistica che si instaura con i suoi fan (quasi tutti giovani) è a doppio taglio, però.