Erri De Luca: «La violenza dei giovani si ferma con la scuola»

Erri De Luca: «La violenza dei giovani si ferma con la scuola»
di Valentino Di Giacomo
Domenica 1 Maggio 2022, 17:00 - Ultimo agg. 2 Maggio, 09:43
5 Minuti di Lettura

«Non so e non posso rispondere dell'adolescenza e della gioventù di adesso. Non frequento i suoi luoghi al di fuori della scuola. C'è una quota di violenza in ogni generazione, che va smaltita o addomesticata. Può indirizzarsi in diversi modi di appartenenza: a una ideologia politica, a una interpretazione religiosa, a una squadra di calcio, a una banda di quartiere. È una stazione di passaggio, non obbligatoria, può essere saltata. Quando fa la fermata, comporta serie conseguenze, perfino irreparabili. Anche in tempo di pace la gioventù è un'età rischiosa».

Sono tanti i bimbi e gli adolescenti raccontati meravigliosamente da Erri De Luca nei suoi racconti.

Il bimbo dell'esordio autobiografico di Non ora non qui (1989), l'innamorato giovanotto in vacanza a Ischia di Tu, mio (1998), ma anche il piccolo studente apprendista falegname del poetico Montedidio (2001) e il ragazzino che diventa uomo nel Il giorno prima della felicità (2009). Quei fanciulli, che tanto somigliano all'autore, sono tutti cresciuti nella Napoli del dopoguerra. Classe 1950, studente dell'Umberto, oggi per De Luca è complesso spiegarsi il perché delle tante violenze gratuite avvenute nelle ultime settimane tra i giovanissimi nelle strade della città. 

Video

Si parla molto anche di scuola nei suoi romanzi, maestri e professori in grado non solo di insegnare, ma anche di appassionare gli studenti. E poi ragazzini che, tra gli anni 60 e 70, comprendevano il valore della scuola e la sua funzione di ascensore sociale. Oggi non più?
«In quei primi decenni dopo la guerra una famiglia operaia, contadina riusciva a mandare i figli a scuola e pure all'università. L'istruzione pubblica era sostenuta e la classe docente aveva un rango elevato nella società. La scuola, come la sanità ha subìto tagli di bilancio che hanno immiserito il servizio pubblico e incoraggiato quello privato. Dunque oggi c'è meno promozione sociale nella scuola».

«L'istruzione - ha scritto in Il giorno prima della felicità - dava importanza a noi poveri. I ricchi si sarebbero istruiti comunque. La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza». Oggi invece i ragazzi che sfuggono alla scuola e compiono violenze sono anche di famiglie benestanti. Si è creato un livellamento verso il basso?
«Insisto sulla mia incompetenza, non so chi sono questi giovani responsabili di fatti di cronaca. Perché ignoro le motivazioni che aizzano gli uni contro gli altri. Se sono ragioni deboli, smetteranno presto, rientrando nei ranghi delle loro provenienze agiate».

In Non ora non qui scrive della sua rigida educazione familiare. Crede che ora la dissoluzione delle famiglie sia alla base di questa violenza dei giovanissimi?
«I genitori di oggi giustificano i figli. I miei mi rimproveravano ogni minimo sbaglio. Non mi piaceva affatto essere giudicato male, insufficiente, ma era così. Perciò non capisco indulgenze nel compito educativo. Le considero una dimissione dal compito».

Forse i giovani non hanno più figure autorevoli, vecchi saggi, ai quali affidarsi?
«Singole figure adulte valide come esempio sono sempre poche. Nella mia carriera di studente ne ho incontrata una sola, ma è bastata a rappresentare tutta la categoria, Giovanni La Magna, insegnante di greco e latino. Se una persona giovane cerca un punto fermo, intorno a sé, lo trova».

Mazz' e panell' fanne e figli bell', dice l'antico adagio. Se scuola e genitori non sanno frenare certi comportamenti, serve lo Stato con le forze dell'ordine?
«Lo Stato si manifesta presso il cittadino con il servizio pubblico della scuola e della sanità. Quando si riduce a presidio di polizia ha fallito, anche se schiera l'esercito».

Cosa direbbe oggi a un docente? A uno di quei docenti sempre più spesso delegittimati dai genitori che difendono e giustificano i propri figli?
«Ne esistono molti che ci mettono l'anima, che inculcano l'idea che la conoscenza sia un riscatto e non un'ammucchiata di nozioni da dimenticare in fretta. Loro hanno da dire».

Tra tante aggressioni di giovanissimi che si sono succedute nelle ultime settimane quasi nessuna è stata denunciata dalle giovani vittime. Si tratta di omertà?
«Non credo sia omertà, piuttosto sfiducia nell'efficacia della denuncia oltre alle complicazioni legali successive di dover sostenere l'accusa. La omertà riguarda la soggezione verso una solida organizzazione criminale».

È in questi giorni in libreria con il suo nuovo racconto Spizzichi e bocconi. Il cibo è spesso il collante che unisce le famiglie: mamme o papà che ci parlano con una parmigiana di melanzane. Oggi avviene sempre meno?
«C'è meno tavola nella vita familiare attuale, meno occasione di ritrovarsi riuniti. Sembra un dettaglio ma io attribuisco a questo abbandono di tavola la perdita di rispetto e intimità tra genitori e figli». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA