Jazz, la casa che non c'è: l'appello degli aficionados di Napoli

Restano solo le serate di «crossroad improring» ogni martedì all'auditorium Novecento di Mezzocannone

Lo storico locale Otto Jazz Club a via Santa Caterina da Siena
Lo storico locale Otto Jazz Club a via Santa Caterina da Siena
di Giovanni Chianelli
Venerdì 18 Novembre 2022, 11:00
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Per Paolo Conte «le donne odiavano il jazz, non si capisce il motivo». Ma non si capisce neanche il motivo per cui a Napoli manchi una casa del jazz, sul solco di quella di Roma; un Blue Note, sul solco di quello di Milano, un Lennie Tristano, sul solco di quello di Aversa; un Otto Jazz Club, sul solco del locale napoletano animato da Enzo Lucci di cui è rimasta, al corto Vittorio Emanuele, solo l'insegna.

Nella presunta «città della musica», mancano gli spazi per la musica, si sa, tantopiù per il jazz. Con la chiusura, ormai datata di Around Midnight al Vomero e Up Stroke a Bagnoli, l'unico locale a fare stabilmente una programmazione jazzistica è il Bourbon Street di via Bellini: stasera Noite da Bossa, domani Divieto di Swing, domenica Marco Pacassoni trio.

Niente star, certo, ma almeno sai che se scendi di casa ed entri quella musica ascolti, cosa normale nel resto del mondo.

Al Bourbon si rivolgono anche quelli dell'associazione culturale Live Tones (loro la proposta di Pacassoni), dietro il cui marchio troviamo Ornella Falco e il suo compagno Alberto Bruno, jazzofili doc: «Abbiamo gestito fino al 2013 un locale a Posillipo, l'ex Casa Basca. Passavano da noi anche Rita Marcotulli, Roberto Gatto, Danilo Rea, Greg Hutchinson», spiega lei, fiera anche di «aver tenuto a battesimo talenti napoletani tra cui Lorenzo Campese, Andrea Rea e Daniele Sorrentino. Poi ci abbiamo provato nella casina vanvitelliana della Villa Comunale». La programmazione Live Tones al Bourbon Street continua il 7 dicembre con Giovanni Guidi, pianista allievo di Rava. Ma l'associazione si guarda intorno e organizza un concerto domani al Mav di Ercolano, dalle 21, con Francesco Marziani al pianoforte, Antonio Napolitano al contrabbasso e Massimo Del Pezzo alla batteria. 

Scarseggiano così tanto i club che ieri al circolo nautico Posillipo sono andati in scena il trombettista Giovanni Amato e Francesco Nastro al piano. L'organizzazione è della New Music Art, che pure rimpiange, per bocca del responsabile Giuseppe Reale, il quasi onimo locale alla riviera di Chiaia «dove sono passati Dee Dee Bridgeewater, Scott Hamilton, Fabrizio Bosso e Roberta Gambarini». Ma tutte erano eccezioni che confermavano la regola: a Napoli non ci sono spazi per il jazz, anche quando la proposta era più ricca di adesso (siamo quasi al grado zero), bisognava accettare spazi piccoli, angusti e profumati di patatine fritte.

In tempi recenti approdato all'auditorium salesiano al Vomero, il «Napoli jazz fest» di Michele Solipano, diventato «Campania jazz network» per sconfinare fino a Benevento, sbarca al monastero delle Trentatrè: il 25 novembre Vincenzo Danise in piano solo e il giorno dopo il trio composto da Francesco D'Errico al piano, Andrè Ferreira al contrabbasso e Giulio Martino al sax. Solipano sogna «un luogo come la Casa del jazz di Roma. Un posto da 300, 400 persone dove si tengano concerti e incontri, si faccia didattica, con una fonoteca attrezzata», sogna Solipano.

Ma alla latitanza delle istituzioni tutte l'inerzia dei privati. Mai nessuno ha investito su questo fronte: vuoi mettere con un bel chioschietto di fritture acchiappaturisti?

Ogni martedì all'auditorium Novecento di Mezzocannone alcuni musicisti, guidati dal sassofonista Pietro Santangelo, il chitarrista Marcello Giannini e il batterista Jonathan Maurano organizzano serate di «crossroad improring»: non solo jazz, ma improvvisazione totale. La cosa più jazz in città. 

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