Napoli, il Tesoro di san Gennaro: ecco tutti i suoi segreti

Da secoli di proprietà dei napoletani, la collezione più ricca al mondo

La mitra di san Gennaro ricca di diamanti, rubini e smeraldi
La mitra di san Gennaro ricca di diamanti, rubini e smeraldi
di Vincenzo Cimmino
Giovedì 31 Agosto 2023, 17:45 - Ultimo agg. 1 Settembre, 08:19
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Più ricco del tesoro dei re e delle regine d’Inghilterra, più ricco anche di quello degli zar di tutte le Russie. È il tesoro del santo patrono di Napoli, è il tesoro di san Gennaro.

In via Duomo, nel pieno centro di Napoli, affianco all’entrata della cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta – questo il nome ufficiale della principale chiesa della città – c’è l’ingresso del Museo del Tesoro di san Gennaro.

Aperto al pubblico dal dicembre del 2003 e oggi diretto da Francesca Ummarino, il museo custodisce migliaia di gemme preziose incastonate in importanti quanto antichi monili, dipinti che testimoniano l’importanza di san Gennaro per la città di Napoli e ancora statue in argento, raffinati paramenti e oggetti liturgici e pregiate opere lignee dei secoli scorsi.

Ma procediamo con ordine. Chi era Gennaro? Vescovo della Chiesa cattolica nativo di Benevento, secondo la sua agiografia Gennaro venne martirizzato nel 305 assieme ai suoi compagni a Pozzuoli, presso l’attuale solfatara. Una donna, la sua nutrice Eusebia, racchiuse il sangue di Gennaro in due ampolle che ancora oggi sono importantissime per i napoletani. Il santo compie il prodigio della liquefazione tre volte l’anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre. Mentre lo scioglimento del sangue è visto come segno di buon auspicio, la mancata liquefazione è considerata presagio di eventi nefasti.

Tornando al polo museale, la sua prima meraviglia è la Reale cappella del Tesoro di san Gennaro, “enclave” posta nella cattedrale. Enclave perché, a differenza della cattedrale, non è soggetta alla Curia ma appartiene alla città di Napoli che la gestisce attraverso la Deputazione del Tesoro di San Gennaro. La Deputazione, antico organo di governo laico che discende dagli antichi sedili o seggi della città, da più di 500 anni promuove il culto di san Gennaro custodendone le reliquie e l’inestimabile patrimonio materiale.

Ma come nasce questa cappella? «Questo documento datato 13 gennaio 1527 – spiega appassionato Fabio Trosa, una delle preparatissime guide del museo pronte a guidare i visitatori attraverso le sale del museo – è una sorta di contratto legalmente vincolante attraverso il quale i napoletani “assumono” san Gennaro come santo patrono per salvare la città. In cambio si impegnarono a costruire una cappella per il santo con i loro soldi, soldi della città. Essendo dunque proprietà cittadina si venne a creare anche una corporazione laica che esiste ancora oggi, la Deputazione, con lo scopo di gestirla assieme al culto del santo».

Giunti davanti alla Reale cappella, come detto interna alla cattedrale ma di proprietà di Napoli e dei napoletani, la prima cosa che colpisce è il meraviglioso cancello di Cosimo Fanzago. Attraversato l’ingresso si viene subito rapiti dall’opulenza del luogo, ricco di ornamenti, quadri, e addirittura due organi.

Degno di nota, inoltre, è il busto reliquiario di san Gennaro, opera in oro e argento risalente al 1305 che, leggenda narra, custodisce parte del cranio del santo. Dietro l’altare, inoltre, è posizionata l’antica cassaforte – per la quale servono due chiavi, una in custodia del cardinale e l’altra della deputazione – che custodisce le ampolle contenenti il sangue.

Attraverso la cappella si giunge poi alla sacrestia e alla cappella della Concezione, spazi ancora oggi usati durante la preparazione delle funzioni religiose. Dalla parete laterale, infine, si giunge in quelli che sono i veri e propri ambienti museali.

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Nelle prime sale subito si notano le importanti statue in argento dei compatroni di Napoli. La città, infatti, conta più di 50 “aiutanti” di Gennaro: da santa Patrizia e san Severo a sant’Irene a sant’Emidio. Curioso è il momentaneo “voltafaccia” dei napoletani durante il 1799. In quell’anno il governo francese tentò di appropriarsi del culto del santo e allora i napoletani, risentiti e al grido di “pure san Gennaro si è fatto giacobino!”, decisero di preferire sant’Antonio di Padova. Il tradimento, però, non durò molto e i napoletani subito tornarono dal loro Gennaro, il loro “faccia gialla”, così chiamato a causa del colore che ha il volto del busto conservato nella Reale cappella.

Le sale sotterranee del museo custodiscono oggetti di grande importanza, grazie ai quali si può tracciare la linea di tutte le case regnanti che hanno dominato la città: dagli Angiò fino ai Savoia, passando attraverso i doni fatti da papi e cardinali. Senza dimenticare però i gioielli, ben più umili ma forse più preziosi, donati da comuni napoletani al santo.

È il caso, questo, della collana di san Gennaro. Realizzata tra il Seicento e il Novecento, il monile è un assemblaggio di doni fatti, tra gli altri, da Carlo III di Borbone, Francesco I d’Austria, Giuseppe Bonaparte, Vittorio Emanuele II di Savoia e una popolana. La donna donò al santo il suo bene più prezioso, degli orecchini che si tramandavano da generazione in generazione nella sua famiglia e che ora sono posti al centro di questo assemblaggio.

Il pezzo più pregiato è senza dubbio la mitra di san Gennaro. Realizzata nel Settecento dall’orafo Matteo Treglia, l’opera si compone di migliaia e migliaia di pietre preziose, delle gemme scelte non a caso: smeraldi verdi come la speranza e la conoscenza, rubini infiammati come la carità e rossi come il sangue del santo e diamanti indistruttibili come la fede.

Molte altre ancora sono le opere e i doni che fanno parte del tesoro, come un calice in oro donato dall’ultimo re Borbone Francesco II, una croce episcopale donata da Umberto I di Savoia come segno di ringraziamento per essere scampato da un attentato, e una pisside in oro donata da Umberto II, ultimo re d’Italia, commissionata a Torre del Greco.

Altra curiosità del tesoro riguarda il suo ritorno a Napoli in seguito alla Seconda guerra mondiale. Spostato da Napoli a Montecassino e da Montecassino a Roma sotto la protezione di papa Pio XII per ragioni di sicurezza, fu solo grazie all’intervento di Giuseppe Navarra, capopopolo detto il “re di Poggioreale”, se il tesoro tornò a casa. Partito da Napoli nel 1947, due anni dopo la fine del conflitto, Navarra, col principe Stefano Colonna di Paliano della Deputazione e grazie a un lasciapassare del cardinale Ascalesi, riuscì a riportare in tutta sicurezza il tesoro in città.

Il Museo è aperto tutti i giorni dalle 9:30 alle 18, con ultimo ingresso alle 17, e prevede un biglietto il cui costo è di 12 euro. Sono previste anche diverse agevolazioni.

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