La seconda vita di Adriano Pantaleo: «Vi racconto la mia Napoli»

La seconda vita di Adriano Pantaleo: «Vi racconto la mia Napoli»
di Antonio Folle
Domenica 22 Settembre 2019, 20:00
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Molti lo ricordano per il personaggio di Vincenzino in “Io speriamo che me la cavo”. Altri lo ricordano per il film-cult dei primi anni '90 “Ci hai rotto papà”. Tante persone invece ancora oggi identificano quell'uomo di 36 anni, una quasi trentennale carriera alle spalle nonostante la giovanissima età, con il personaggio di Spillo, il giovanissimo protagonista della fortunata serie tv “Amico mio”, interpretata, tra gli altri, da un superbo Massimo Dapporto e da un giovanissimo Pierfrancesco Favino.
 
Oggi Adriano Pantaleo è uno dei tanti pendolari napoletani che fanno la spola tra Napoli e Roma per lavoro. Nella capitale ha la sua famiglia, a Napoli invece cura la direzione artistica del Nest - Napoli Est Teatro - un progetto teatrale nato a San Giovanni a Teduccio e rivolto soprattutto ai giovani di un quartiere e di un territorio difficile. Perchè Pantaleo non ha mai dimenticato le sue origini. Nato a Scampia e attore quasi per caso, oggi continua a visitare il quartiere che gli ha dato i natali e a tenersi strettamente aggiornato sulle cose di Napoli perchè, come spiega lo stesso attore, le radici vanno sempre curate.
 
«Il legame con la mia città è qualcosa di imprescindibile - spiega - e nonostante la mia famiglia viva stabilmente a Roma io non potrei fare a meno di considerare Napoli la mia vera città. Qui ho mosso i primi passi come attore e forse oggi sono la persona che sono proprio grazie alla mia napoletanità. Potrei vivere in qualsiasi città del mondo, ma non potrei mai dimenticare da dove vengo e cosa devo a questa città. Una città che ha ancora tanti problemi, ma che in questi ultimi anni sta facendo qualcosa per risollevarsi».
 
Pantaleo ha poi ripercorso le tappe della sua carriera che, nel 2021, taglierà il prestigioso traguardo dei trent'anni. Un traguardo estremamente sentito per un trentaseienne che ha mosso i primi passi da bambino nel lontano 1992. «Mio padre lesse un annuncio su un giornale - racconta l'attore - cercavano bambini per un film di Lina Wertmuller e portarono me e mia sorella Luana a questo provino dove c'erano migliaia di bambini da ogni parte della città. Ricordo ancora le scene delle pizze e delle frittatone di maccheroni che i genitori portavano per sostenersi nella lunghissima attesa, quasi come in una scampagnata. Dopo questa prima fase di provini ce ne furono altri e finalmente uscì fuori il cast di bambini che avrebbero dato vita a uno dei film più belli di quegli anni, diretto da una grandissima regista come Lina Wertmuller, una donna che per me è stata ed è ancora molto di più che una regista».
 


L'incontro con la regista romana - ma napoletanissima nell'anima - è stata la svolta della fortunata carriera dell'allora giovanissimo Adriano Pantaleo. «Era il 1992 e Io speriamo che me la cavo era ancora in fase di montaggio - ha continuato Pantaleo - e altri due grandissimi registi come Castellano e Pipolo cominciarono i casting per Ci hai rotto papà. Vennero a visionare il girato in sala di montaggio a "caccia" di bambini da arruolare per il loro film e scelsero me per interpretare il personaggio del figlio del portiere napoletano. Quella esperienza fu bellissima da tutti i punti di vista. Ricordo che noi bambini ci divertivamo un mondo e che per noi il set era un unico grande gioco dove poter fare scherzi in piena libertà agli adulti. Vi lascio immaginare».
 
Un aneddoto sull'indimenticabile Paolo Villaggio: «Noi bambini lo conoscevamo come Fantozzi - il ricordo di Pantaleo - invece ci trovammo di fronte un uomo serio e compassato. Però Paolo sapeva avere i suoi momenti di gioco e di allegria. Con tutti noi, al di là delle nostre interpretazioni, instaurava un rapporto personale. Quando giravamo la famosa scena in cui io spiegavo al maestro Sperelli com'è Corzano, a Taranto faceva un freddo bestiale. Lui aveva un grosso doppiopetto che lo copriva praticamente tutto. Io avevo solo la mia giacchetta da barista. Le attese tra un ciak e l'altro erano interminabili e il freddo non dava tregua e così nei tempi morti lui mi avvolgeva nel suo grosso cappottone. In alcune foto di scena di quell'epoca si vede questa figura gigantesca avvolta in questo cappotto scuro dal quale spuntano due piedini in Converse, i miei».
 
Ma il personaggio che lo ha lanciato definitivamente nell'olimpo dei bambini prodigio dei primi anni '90 è stato sicuramente il personaggio di Spillo nella fiction "Amico mio", una delle prime serie tv italiane e senz'altro tra le più fortunate della storia del piccolo schermo. Qui Pantaleo interpretava il ruolo della giovanissima mascotte di un ospedale pediatrico romano al fianco di mostri sacri che hanno fatto la storia del cinema italiano. Una palestra di vita e di recitazione che lo avrebbe segnato per tutta la vita. «Quel personaggio mi ha cambiato la vita per davvero. Quella serie tv fece registrare ascolti fino ad allora inimmaginabili, con picchi anche di 14 milioni. Ricordo che all'epoca la Rai, subito dopo la fine della prima serie, la ritrasmise di nuovo in prima serata, registrando gli stessi ascolti. Una cosa che la Rai fino ad allora non aveva mai fatto. Li ho cominciato a capire che cos'era la notorietà, quella vera. In strada mi fermavano e mi chiamavano Spillo, una cosa incredibile per un bambino così giovane. Poi - continua - ricordo con estremo affetto Massimo Dapporto e ancora oggi quando possiamo ci sentiamo. Un uomo straordinario al di là del rapporto lavorativo».
 
Seguono anni di televisione e cinema che si affiancano alle esperienze teatrali.
Il 30 settembre uscirà nelle sale cinematografiche l'attesissima rivisitazione del “Sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone, un omaggio a Eduardo de Filippo in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Ultima - ma non ultima - tappa di una carriera ancora in ascesa che strizza l'occhio a temi di forte rilevanza sociale. «Ho portato in teatro lo spettacolo “Non Plus Ultras”, un viaggio nel mondo del tifo da stadio. Questa idea è nata subito dopo la morte di Ciro Esposito, un ragazzo del mio quartiere che io conoscevo e con il quale giocavamo a pallone tutti giorni nel nostro quartiere. Per il futuro ho in cantiere la partecipazione a un film per Rai Uno ma soprattutto, in questi pochi mesi che mi separano dal 2020, ho in mente un progetto a cui tengo tantissimo e che mi riporta alle mie origini, a quell'Io speriamo che me la cavo di tanti anni fa. Non posso ancora svelare nulla - ha poi concluso Pantaleo - quello che posso dire è che tutti quelli che amano quel film e che ogni volta mi chiedono che fine hanno fatto i ragazzi di quel film rimarranno sicuramente contenti».

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