Quando «'O sole mio» spuntò ad Auschwitz

Quando «'O sole mio» spuntò ad Auschwitz
di Ugo Cundari
Domenica 19 Gennaio 2020, 09:30
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Questa è la storia di come una delle canzoni napoletane più famose al mondo sia stata cantata nel più orrendo campo di concentramento nazista riuscendo a salvare moralmente le ebree che l'ascoltarono. La vicenda è raccontata nel saggio in uscita per la Newton & Compton Le 999 donne di Auschwitz (pagine 392, euro 10) di Heather Dune Macadam.

Il 25 marzo del 1942 un migliaio di donne, giovanissime e inermi, lasciano Poprad, in Slovacchia, per salire a bordo di un treno. Sono convinte di andare a svolgere lavori governativi nella Polonia da poco occupata, e che sarebbero state via per qualche mese. Si ritrovano ad Auschwitz, dove nel giro di un anno sarebbero entrati in funzione quattro forni crematori in grado di bruciare 4.736 cadaveri al giorno. La maggior parte dei nuovi arrivi, intere famiglie con bambini piccoli e neonati, finisce dritta nelle camere a gas. Le slovacche riescono a sopravvivere perché «elaborano strategie per restare in vita, offrendosi volontarie per i compiti più sgradevoli, o trovando salvezza nei lavori agricoli, nei laboratori di cucito oppure negli uffici del campo, divenendo esperte nello scampare allo sterminio quotidiano dei più deboli, quelli che si ammalavano o erano ormai troppo emaciati per risultare utili».

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Tra le deportate ci sono due ragazze di origini greche che subito capiscono come resistere a quella terribile esperienza, Susie e Lucia. Lavorano nel padiglione Canada, dove si conserva il patrimonio sottratto dai nazisti agli ebrei, ai quali prima della deportazione era stato ordinato di portare con sé dai 30 al 45 chili di beni che ritenevano potessero servire loro. Coperte, cappotti, occhiali, stoviglie, attrezzature mediche, macchine da cucire, scarpe, orologi da polso e mobilia stipano un'estesa rete di depositi in cui squadre composte dai prigionieri e dalle prigioniere più fortunati e astuti lavorano in turni ininterrotti, preparando le spedizioni da caricare sui treni di ritorno in Germania.

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Susie e Lucia sono quelle che si danno più da fare, instancabili lavoratrici approfittano di ogni occasione per sgraffignare un tozzo di pane e una fetta di salame. Passano gli anni, la vita è sempre più dura, si dice che la Germania sta per perdere la guerra, forse si salveranno. Devono resistere, ma ormai capita sempre più spesso che svengano e non si sentano più le forze per andare avanti. Arriva la vigilia di Natale del '43. Una SS entra nel blocco e annuncia: «Tutte fuori, stasera daremo una festa speciale». Le ragazze non sanno niente, pensano che quella «festa speciale» sia la loro morte nelle camere a gas. Percorrono i viali innevati del campo con il cuore in gola. Si ritrovano in una sala, davanti a un palco allestito la sera prima. Dune Macadam, che per questa storia ha consultato archivi e fondi tra Israele e la Slovacchia, e ha intervistato le superstiti, così ricostruisce la scena: «Le SS siedono su alcune sedie davanti al teatro improvvisato; ci cono il dottor Mengele e il dottor Kremer, la famigerata SS donna Irma Grese, la sorvegliante del campo Maria Mandel. In silenzio, le prigioniere si sistemano in fondo alla stanza. Quantomeno, se ci sono anche le SS non sarebbero state gassate». Sul palco, per cantare, vengono fatte salire Susie e Lucia. La prima si schiarisce la voce, la seconda fa lo stesso. I primi versi sono «Che bella cosa è na jurnata e sole». «Le altre probabilmente non conoscono l'italiano o il napoletano. Non capiscono il significato delle parole. Forse non sanno neppure che si tratta di una canzone d'amore. Ma quando Susie volta lo sguardo verso Lucia, e quest'ultima attacca il ritornello, intuiscono che quella canzone è per loro. Una canzone di speranza che invita a guardare al futuro senza paura». La canzone continua, «ma n'atu sole cchiu' bello oi ne', o sole mio sta nfronte a te». «Quanti anni erano passati dall'ultima volta che una di loro aveva pensato: Che bella cosa, una giornata di sole! Da quando aveva sentito l'aria dopo un temporale, serena e fresca. Avevano perso sorelle, fratelli, amici, madri, padri, zie, zii, cugini e figli. La stanza è piena del ricordo di volti baciati dal sole, ormai scomparsi».

Quella canzone aiutò le ragazze a sopravvivere fino all'anno successivo, quando il campo fu liberato, e loro poterono raccontare questa incredibile storia. 
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