Quando Marotta denunciò: «Il suicidio dell'Europa comincia da Napoli»

Quando Marotta denunciò: «Il suicidio dell'Europa comincia da Napoli»
Giovedì 26 Gennaio 2017, 08:53
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«L’Europa si è suicidata e questo suicidio è cominciato da Napoli e dal Mezzogiorno», denunciò su queste pagine, in un’intervista apparsa il 27 luglio del 2014 l’avvocato Gerardo Marotta. «Come diceva Benedetto Croce, quando i piccoli borghesi e le orde barbariche si impadroniscono del potere abbiamo la distruzione della civiltà», spiegò a Fabrizio Coscia l’uomo che aveva fondato L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, nel 1975, su incoraggiamento dell’allora Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei Enrico Cerulli, insieme con Elena Croce, figlia del celebre filosofo, e di Pietro Piovani e Giovanni Pugliese Carratelli.

La battaglia per mantenere viva la sua creatura era diventata impari, soprattutto per il continuo, progressivo, taglio dei finanziamenti e la mancanza di fondi che l’aveva costretto a traslocare circa centomila volumi della prestigiosa biblioteca prima in un capannone industriale di Casoria, poi, di volta in volta, negli spazi sempre più di fortuna messigli a disposizione.

Disperato, o quasi, l’avvocato dopo aver ritirato l’ennesimo riconoscimento della sua carriera prestigiosa aveva lanciato il suo accorato grido d’allarme per la «morte della cultura»: «Siamo come quel contadino emigrante di cui parlava Piero Calamandrei nel suo Discorso sulla Costituzione», raccontò al «Mattino», che durante una traversata nell’oceano su un piroscafo risponde a chi l’avverte della tempesta che sta per affondarli: “Che me ne importa, non è mica mia la nave”. Basta guardare in che condizioni versa la nostra scuola per capire il disastro di questo Paese, una nave che affonda nell’indifferenza generale».

La nave-Italia, scriveva Coscia, per Marotta non era mai riuscita ad essere uno Stato, fin dai tempi del Risorgimento e del fascismo: «Ancora nel Dopoguerra, nonostante la Costituzione, i governanti non hanno creato nessuna Repubblica. Non erano state fatte leggi nuove, né una società nuova. Oggi è ancora peggio. Quando siamo andati nelle scuole del Mezzogiorno gli studenti dei licei non conoscevano chi fosse Filangieri, Pagano, Genovesi. Non lo sapevano nemmeno i deputati e i senatori. E un Paese senza memoria che Paese è?».

L’inizio della fine, insomma, è avvenuta qui, nel Meridione «linfa per tutta la cultura europea dalla Magna Grecia del platonismo fino al Settecento illuminista, quando si contavano a Napoli e in tutto il Sud centinaia di filosofi, medici, giuristi, agronomi famosi in tutto il mondo». Citava Croce, come sempre, l’avvocato, si infervorava raccontando la repressione della Rivoluzione del 1799, il «genocidio» compiuto da Ferdinando IV contro gli eroi della Repubblica partenopea: «Fu decapitata un’intera generazione e il Sud rimase senza una classe dirigente. Da allora abbiamo perso tutto il nutrimento che veniva da Napoli. Il re sterminò tutti i giacobini, li mandò al patibolo o li lasciò a morire nelle fosse delle prigioni del Regno e mise al posto di quegli eroi i luridi capobriganti sanfedisti che l’avevano aiutato a riconquistare il regno. I luridi capobriganti misero poi i loro figli al potere e i figli dei loro figli, e così via». Un gioco, diceva con il sorriso più amaro possibile, che era continuato sino ad oggi.

r.c.

 
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