Raffaele La Capria e i «ragazzi» dell'Umberto: una generazione di protagonisti

Raffaele La Capria e i «ragazzi» dell'Umberto: una generazione di protagonisti
di Fabrizio Coscia
Martedì 28 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 29 Giugno, 07:51
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In un racconto del libro La neve del Vesuvio, Raffaele La Capria descrive una manifestazione fascista che si svolge sotto il liceo Umberto I a favore della dichiarazione di guerra dell'Italia.

Siamo nel giugno del 1940 e i manifestanti invitano gli studenti della scuola a scendere, a unirsi al corteo, ma il loro professore d'italiano li esorta invece a non farsi incantare dalle parole: «Imparate a usarle bene, non a gridarle - gli dice -. Neanche se le vedete scritte a caratteri cubitali sui muri. Neanche se tutti le urlano insieme nelle piazze».

Quel professore era ispirato al vero professore di italiano e latino di La Capria, e dei suoi compagni di classe Giuseppe Patroni Griffi, Antonio Ghirelli e Francesco Compagna. All'epoca il «regio liceo ginnasio Umberto I» a Napoli era considerato una scuola laica, con un preside moderato e crociano, e per questo inviso alle autorità di regime.

Vi si respirava un clima di antifascismo, seppure implicito, silente, allusivo.

Come nelle lezioni di quel professore, dal nome astruso, di origine mitteleuropea, che invitava a conoscere le parole, il loro significato: Haberstumpf, si chiamava. Da lui, La Capria, Patroni Griffi, Ghirelli, Compagna, hanno imparato che, come avrebbe detto decenni più tardi Nanni Moretti, «le parole sono importanti».

E quel liceo, dove andavano i figli della buona borghesia napoletana, negli anni bui del fascismo è stato una palestra di libertà per quei giovani studenti ancora privi di una coscienza politica, ma destinati a un futuro di successo. Nella classe accanto alla loro c'era Francesco Rosi, e poi Maurizio Barendson e Achille Millo. Tutti nati tra il 1921 e il 1923.

Una generazione di napoletani che non si è più ripetuta. Di qualche anno più giovane, arrivò dopo anche Giorgio Napolitano. Si incontravano alla fine delle lezioni, andavano a giocare a pallone in Villa Comunale, o a fare i bagni a Capo Posillipo, o le «vasche» da via Filangieri a via dei Mille, e discutevano di politica, ma soprattutto di libri e di letteratura - dei romanzi stranieri, di poesia, di teatro - perché quella restava per loro la chiave privilegiata per capire il mondo.

Poi arriva la guerra, i bombardamenti, la fame. Ma l'amicizia dei «ragazzi dell'Umberto» continua anche all'università: insieme si ritrovano al Circolo degli Illusi in via Crispi, sono loggionisti del teatro Mercadante e frequentano la sede del settimanale del Guf di Napoli «IX Maggio».

Sono anni pieni di fervore creativo, questi, di progettualità. Alla fine del 1945, un giovane intellettuale cagliaritano trasferitosi a Napoli, Pasquale Prunas, fonda una rivista culturale, «Sud», riunendo molti di quegli ex studenti dell'Umberto, come lo stesso La Capria, Patroni Griffi, Barendson, ma anche Luigi Compagnone, Mario Stefanile e Anna Maria Ortese. Quest'ultima dedicò poi a quegli anni e ad alcuni dei suoi protagonisti napoletani un ritratto memorabile (e per certi versi implacabile, di una affilata perfidia) nel capitolo finale del suo libro Il mare non bagna Napoli.

L'avventura di «Sud» finisce nel settembre del 1947, per una cronica mancanza di mezzi. Restano leggendarie le riunione di redazione, sempre animate, a volte furiose. Con la fine di «Sud», si chiude forse, per sempre, anche un'ipotesi di città, un'idea di Napoli che non ha mai più ritrovato le sue coordinate. Sono gli anni della diaspora e i «ragazzi dell'Umberto» si ritrovano tutti nella capitale. Ognuno spinto dai propri desideri, dal proprio talento, dalle proprie ambizioni.

 

La Capria pubblica il suo primo romanzo nel 1952, Un giorno d'impazienza, che guarda ai grandi modelli europei. Dopo un decennio, con Ferito a morte si affermerà come uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. Patroni Griffi, dal multiforme talento, esordisce come sceneggiatore cinematografico, scrittore e soprattutto come drammaturgo: il suo teatro sarà modello, negli anni Ottanta, per autori come Enzo Moscato e Annibale Ruccello.

In quegli stessi favolosi anni Cinquanta Antonio Ghirelli si afferma come giornalista, prima come collaboratore di «Paese Sera», poi come responsabile dell'edizione romana di «La Gazzetta dello Sport» e infine, dal 1959, come direttore di «Tuttosport».

Francesco Rosi si dedica al cinema: esordisce nel 1958 alla Mostra di Venezia con il film «La sfida», ambientato nella Napoli del dopoguerra, e nel decennio successivo sarà tra i massimi protagonisti del cinema italiano.

Giorgio Napolitano, futuro Presidente della Repubblica, avvia la sua carriera politica nelle fila del Pci, diventando deputato nel 1953, mentre Francesco Compagna fonda un anno dopo la rivista meridionalista «Nord e Sud». 

«Ognuno di noi cominciò a diventare quello che voleva essere», disse una volta La Capria, ricordando quel periodo. All'epoca era possibile una versione italiana del «sogno americano». Certo per realizzarlo avevano dovuto abbandonare Napoli, da madre divenuta leopardiana matrigna. Eppure quella Napoli, ciascuno di loro, non ha mai smesso di lasciarla davvero, di raccontarla, di rappresentarla. E forse nemmeno quelle aule dell'Umberto, dove è iniziato quel sogno. 

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