Morto Mario Santangelo, il dolore di Bassolino: «Si sentiva straniero in patria, ogni suo pensiero era per Napoli»

Morto Mario Santangelo, il dolore di Bassolino: «Si sentiva straniero in patria, ogni suo pensiero era per Napoli»
di Luigi Roano
Sabato 5 Dicembre 2020, 12:30
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«Mario è stato un amico vero nel senso che con lui si discuteva e ci si confrontava: è stato un grande signore nel senso napoletano e vero di questo termine e ci mancherà molto, a me sicuramente. E nel suo nome, nel suo esempio, ognuno di noi ha il dovere di fare la sua parte per il bene della città». Inizia così, dopo una telefonata lunga mezz'ora, l'intervista-ricordo ad Antonio Bassolino che con Mario Santangelo ha condiviso più di trent'anni di amicizia e di vita politica. Inizia - l'intervista - con le parole con cui Bassolino l'ha chiusa con la voce rotta dalla commozione. 

Allora Bassolino chi era Mario Santangelo?
«Sono stato tra i primi a sapere e per me è stato davvero un dolore molto grande, una brutta botta e ancora sto cercando di riprendermi, lo confesso con sincerità. Una grave perdita per me e la mia famiglia, ancor di più è una grave perdita per i familiari ed è un lutto grave per la nostra città e la nostra regione.

Mi hanno molto colpito i commenti di persone semplici sul mio post pubblicato su Fb. E quelli di tante personalità, di colleghi di Mario come Enrico Di Salvo».

In che senso l'hanno colpita?
«Era nel cuore di tante persone semplici e tanti gli erano e gli sono riconoscenti per la dedizione con la quale lui si impegnava: faceva il chirurgo, il medico, l'amico e il confessore, questo era Mario».

Approfondiamo.
«Mario è stato in primo luogo un grande chirurgo, il primo a fare un trapianto prima di reni e poi di fegato in tutto il Mezzogiorno, era stato allievo di un grande caposcuola, Zannini. E poi lui stesso era diventato un Maestro».

Un antesignano dei medici eroi anti-Covid?
«È stato un medico straordinario che si è impegnato allo stremo sacrificando la propria vita. Credo lo abbia detto Di Salvo: Mario era al servizio della sofferenza. Davvero in lui si vedeva la medicina come la missione della vita».

Come vi siete conosciuti?
«Mario oltre a essere stato un grande medico è stato un uomo delle Istituzioni ed è su questo che poi ci siamo incontrati lui ed io. È stato vicepresidente del Consiglio regionale per diversi anni e assessore regionale con Giovanni Grasso tra il '94 e il '95 e direttore generale del Pascale. E assessore con me nel 2009. La sua competenza in politica sanitaria - oltre che come chirurgo e medico - era da tutti riconosciuta e il suo impegno è stato l'impegno di un uomo che come era al servizio delle sofferenze era al servizio delle Istituzioni. Su questo ci siamo incontrati: sul bene delle Istituzioni e in particolare il bene della città prima e sopra ogni interesse di parte e di partito e davvero bello è stato il nostro rapporto. Anzi dico di più».

Cioè?
«Noi non siamo nati amici. Io e Tino, il fratello, ci siamo confrontati e anche scontrati nelle elezioni comunali del '93 quando si eleggeva per la prima volta il sindaco, ma proprio allora e poi sempre più fortemente negli anni successivi si è costruito un rapporto straordinario tra me e Tino e tra me e Mario. Fratelli che erano persone diverse fra loro, ma con tutti e due nelle loro diversità ho un rapporto molto forte: l'uno e l'altro tra i miei amici più cari. Ci siamo dunque conquistati il nostro rapporto».

Vale a dire?
«Il rapporto tra me e Mario, che è nato da posizioni diverse, lo abbiamo costruito con pazienza giorno dopo giorno e abbiamo potuto farlo perché Mario come me era appassionato di politica con dentro una straordinaria curiosità che è la stessa che ho sempre cercato di coltivare. Curiosità per la società - nel caso di Mario per il corpo sociale - forte come era forte quella per il corpo umano. Perché Mario era un uomo molto colto con tanti interessi per il teatro, per il cinema, per la letteratura. Quante discussioni abbiamo avuto».

E cosa è venuto fuori da queste discussioni?
«Di questi tempi sempre di più si sentiva straniero in patria, ma con dentro di sé fino a pochi giorni fa, fino a quando c'è stato il ricovero in ospedale, una grande tensione civile per i problemi del Paese e per la nostra Napoli che era in cima ai suoi pensieri».

Qual è il momento che più ricorda della vostra amicizia, quello che esula anche dalla vita politica?
«Era una persona buona che ti trovavi accanto nei momenti più delicati e difficili. Era il 2012, per me era un periodo molto difficile, ero dentro vicende giudiziarie ingiuste e non ancora concluse con le assoluzioni. Attraversavo momenti di solitudine, nel mio stesso partito, nel mio stesso mondo. E un giorno ho avuto una gravissima emorragia gastrica, caddi per le scale mentre ero alla fondazione Sudd. Arrivai al Loreto mare in ambulanza e in codice rosso. Quando ho riaperto gli occhi il primo viso davanti a me era quello di Mario Santangelo e accanto a lui il professor Giulio Belli, suo allievo, e i loro volti sono stati tra i primi che ho visto, prima di quello di Annamaria e dei miei figli». 

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