Pnrr e Napoli, parla Scudieri (Adler):
«Occasione unica ma tempi da rivedere»

Pnrr e Napoli, parla Scudieri (Adler): «Occasione unica ma tempi da rivedere»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 9 Marzo 2022, 08:13
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Presidente Scudieri, la sua famiglia ha acquisito il 28% di Adler Group, uno dei colossi mondiali dell'automotive, detenuto dal Fondo strategico italiano con cui lavoravate dal 2018: ora la proprietà è tutta vostra. Che significato ha quest'operazione finanziaria in una fase così difficile per il settore e per l'economia europea?
«Intanto conferma il valore strategico che ha per noi il lavoro, la nostra vera missione. E al tempo stesso rafforza la fiducia, sia come azienda sia come Anfia, nella difesa e nel sostegno dellautomotive, sottoposto anche in questo delicato momento ad attacchi estemporanei e su diversi fronti - risponde Paolo Scudieri, presidente dell'Anfia, la filiera nazionale dell'automotive, e patron di un gruppo leader nella componentistica auto -. Non ho mai rinunciato a considerare decisivo il ruolo del trasporto per la libertà stessa degli esseri umani e proprio adesso questa convinzione diventa ancora più forte e attuale. Ecco perché l'operazione non è importante solo per il nostro Gruppo».

E' un messaggio per l'intera filiera, vuol dire? Più fiducia, cioè, nell'automotive nonostante la guerra, i costi delle materie prime e dell'energia, la crisi dell'auto?
«Io sono sempre stato abituato a partire da me per cercare di dimostrare in concreto come migliorare il nostro comparto.

L'auto è sempre stata un fattore di sviluppo: in un Paese come il nostro garantisce 80 miliardi di gettito fiscale all'anno e un milione e 200mila posti di lavoro. Ribadire la centralità di questo settore significa aiutare le giovani generazioni e il sistema economico del Paese».

Ma la guerra e le pesanti ricadute sui costi energetici rischiano di frenare la ripresa: si può anche ipotizzare uno slittamento del Pnrr per aiutare le imprese?
«Il Pnrr deve continuare ad essere un'opportunità da utilizzare nel miglior modo possibile. Con piani chiari e scadenze certe, in altre parole. I finanziamenti europei sono in gran parte a debito per noi e dunque dobbiamo assolutamente garantire il ritorno degli investimenti. Non possiamo correre il rischio di far ricadere sulle spalle dei giovani l'ulteriore debito del Paese. Serve però anche coerenza, dialogo, per poter spostare obiettivi e traguardi in virtù di quanto accade a livello internazionale. Non ci può essere evidentemente solo un'indicazione da rispettare, specie se è stata fissata ben prima di quanto poi è accaduto e sta accadendo. Bisogna adattarsi concretamente agli eventi straordinari, e dunque imprevedibili nella loro evoluzione. Ad esempio, scadenze come la fine dei motori endotermici entro il 2035 vanno rianalizzate e riadattate perché sono diventate ormai anacronistiche».

Anacronistiche?
«Certo, anacronistiche. E, badi, questo non vuol dire che ci dobbiamo allontanare dall'obiettivo della riduzione dell'inquinamento e della salvaguardia dell'ambiente in cui viviamo. Tutt'altro. Ma tempi e investimenti vanno monitorati con la necessaria cautela, ogni 5 anni, per verificare se abbiamo alzato troppo l'asticella e dobbiamo dunque intervenire. Bene ha fatto il governo tedesco a ritirare il sostegno alla scadenza del 2035 fissata da Bruxelles».

In altre parole, niente fretta sull'elettrico?
«Limitarsi a parlare solo dell'elettrico comporta un pericolo strategico enorme, visto che l'energia prodotta attualmente e nel medio termine non proverrà interamente dalle fonti rinnovabili. E che la produzione di batterie al litio, necessarie per il motore elettrico, comporterà l'utilizzo di quantità di acqua smisurate. Se teniamo presente che la leadership delle materie prime nel mondo è nelle mani di poche persone, i dubbi sul ricorso a quest'unica tecnologia si fanno ancora più consistenti. Ecco allora l'esigenza di misurarci su carburanti sempre meno inquinanti, come i biocarburanti, o sull'idrogeno come fonte energetica primaria: più tecnologie trasversali al sistema produttivo possono essere la risposta giusta ed equilibrata».

Ma servirebbe un Piano energetico europeo, come da più parti si ritiene alla luce dei problemi di approvvigionamento dalla Russia, specie per Italia e Germania?
«Il problema non è solo dell'Italia e nemmeno solo dell'Europa. L'Europa nel panorama globale delle emissioni nocive rappresenta solo l'8% e l'auto in questa percentuale non supera il 15%. La sensibilizzazione è giusta ma deve coinvolgere tutto il mondo visto che l'Asia ha il 57% del totale delle emissioni. Non servono battaglie inutili e tanto meno una macelleria sociale come quella a cui si andrebbe incontro con una transizione ambientale non attentamente ponderata nei tempi che avrebbe ripercussioni inevitabili sull'occupazione».

Le previsioni sul mercato dell'auto non inducono però ancora all'ottimismo a breve termine...
«Io spero che le sofferenze che da troppo tempo colpiscono il settore dell'auto siano quanto prima ridotte e si possa tornare alla normalità. Gli incentivi previsti dal governo sono un primo, importante passo in avanti anche perché il potenziale che esprime il mercato è molto più grande dell'offerta: per la prima volta nella storia c'è un problema di offerta e non di domanda. E questo la dice lunga non solo sulla validità dell'industria automotive ma anche sull'importanza di un interesse coeso tra gli Stati europei e gli operatori del settore. Siamo un fattore di ricchezza per ogni Paese e così vogliamo e dobbiamo essere interpretati».

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