Una guerra in cui l’Italia ha avuto decine di morti e centinaia di feriti. Dove, quando? In Afghanistan, negli ultimi 20 anni. Quella che nel 2001 era stata presentata come missione di peace keeping è stata invece guerra, guerra vera. A cui ha preso parte anche il nostro Paese nel silenzio o nella manipolazione della realtà operata dai governi e dalla maggior parte dei media. Ora due giornalisti provano a fare luce sui fatti e fanno parlare chi il conflitto lo ha combattuto: sono Giampaolo Cadalanu e Massimo De Angelis nel loro volume La guerra nascosta - L'Afghanistan nel racconto dei militari italiani (Laterza, 206 pagine, 19 euro) che viene presentato a Napoli lunedì 17 aprile alle 17.30 al cinema America; con gli autori intervengono il generale Vincenzo Camporini, ex capo dello Stato maggiore della Difesa, e Ottavio Lucarelli, presidente dell’ordine dei giornalisti della Campania.
Cadalanu per Repubblica e De Angelis per il Tg1 hanno passato lunghi periodi di trasferta fra Kabul, Herat e il resto dell'Afghanistan, sia da "embedded", cioè al seguito delle truppe italiane, sia in autonomia.
Anche le date, da quanto emerge dal lavoro, devono essere riviste. Nel 2003, spedendo i primi soldati fuori da Kabul, in zona di combattimenti, il ministro della Difesa dell’epoca dichiarò: “È una missione a rischio, ma le sue finalità sono comunque di peace-keeping”. In realtà già dalla fine del 2001 i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento sull’Afghanistan insieme agli aerei americani, ben 278. E l’assetto in campo era del tutto schiacciato sui desiderata degli Stati Uniti: “Siamo intervenuti in difesa di un alleato NATO dopo l’11 settembre”, dissero i governi. Ma l’attacco all’Afghanistan fu parte di un’operazione non autorizzata dall’Onu, a guida americana; la Nato subentrò solo più tardi. E così, altro che pace.
L’Italia paga con 53 morti e 753 feriti. E come in tutte le guerre il finale è feroce, oltre che inutile: “In vent’anni di intervento la guerra ha portato con sé corruzione, ruberie, appetiti economici, tradimenti. E il bilancio è uno solo: la situazione in Afghanistan è peggiorata” scrivono gli autori. E nel caso dell'esperienza italiana si aggiunge, spiegano, l'amarezza delle bugie ufficiali, le stesse che hanno accreditato una visione edulcorata e hanno provato a tenere nascosta la natura reale della missione. Eppure la ricostruzione dell'intervento, rimettendo in una diversa prospettiva le versioni ufficiali della Difesa e degli Stati maggiori, restituisce dignità a chi ha combattuto e soprattutto a chi ha perso la vita in Afghanistan.