Filippo Giardina porta a Napoli Cabaret: «Il comico non è un educatore»

Dopo il successo di Dieci il comico romano debutta questa sera a Napoli

Filippo Giardina porta a Napoli "Cabaret"
Filippo Giardina porta a Napoli "Cabaret"
di Valentina Bonavolontà
Mercoledì 18 Ottobre 2023, 09:48 - Ultimo agg. 13:00
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Spregiudicato, dissacrante e cinico, Filippo Giardina è ormai indiscutibilmente uno dei nomi di spicco della stand up comedy italiana.

Fautore di una satira libera e autentica, che affonda le radici nella tradizione letteraria e che si scaglia contro l’ipocrisia e la retorica, Giardina nei suoi spettacoli racconta le contraddizioni della società con il sarcasmo
e la sagacia che lo contraddistinguono.

Dopo il successo di Dieci il comico romano torna con “Cabaret”, il suo undicesimo monologo satirico che si può riassumere in un’unica parola: controcultura. Con questo termine ci si riferisce a quei movimenti culturali,
filosofici, politici e religiosi che si oppongono alla cultura dominante della società. "Cabaret" approderà a Napoli questa sera, 18 ottobre, al Teatro Sannazzaro. 

Anni fa fece Contro-Cabaret, oggi sale sul palco con Cabaret
«Contro-Cabaret era un laboratorio, forse 2005, in cui prendevo le distanze dal cabaret che andava di moda.

Ho fondato "Satiriasi" stand up nel 2009. Oggi la stand up comedy sta prendendo piede, ma sta raccontando le beghe di coppia e una melensa aneddotica personale. L'ho chiamato Cabaret per fare una provocazione. Se la stand up comedy è diventata questa roba, io faccio cabaret». 

È ancora possibile fare satira oggi?
«Sì, è possibile fare satira. Mi rendo conto che sta un po' passando di moda a causa delle mille limitazioni che ci sono. Ma è sempre più necessaria. C'è un luogo comune che è assolutamente vero: che la comicità nasce dalla tragedia. In questo momento storico abbiamo sempre più tragedie, sempre più il bisogno umano di esorcizzare, di innescare questo meccanismo catartico per non rimanere schiacciati dal peso di questi dolori».

Il perbenismo e il bigottismo stanno diventando valori positivi e la libertà di espressione deve sottostare a una dilagante permalosità. Cosa può dire il comico nella società del politically correct e dell'ideologia woke?
«C'è una differenza tra gli spettacoli dal vivo e la televisione. Dal vivo si può dire tutto e si deve dire tutto. La comicità ha una storia molto più lunga del Woke, che sta arrivando anche in Italia e che andrà via, e per definizione è fuori luogo e se tu mi dici che delle cose non le posso dire, io che sono un comico parto proprio da quelle cose. In questo momento in cui c'è gente particolarmente attenta alle parole, io volontariamente nello spettacolo ho inserito tante parole che non si possono dire, per prendere in giro questo atteggiamento, perché bisognerebbe chiarire una volta per tutte che il comico non è un educatore. La società ha demandato anche ai comici il compito di educare le persone. Ma il comico è uno scrittore che decide di raccontare un omicidio dalla parte dell'assassino. C'è una confusione enorme sul ruolo dei vari personaggi che partecipano alla vita pubblica». 

E quali sono quindi le responsabilità di un comico?
«Io sento il bisogno di condividere col pubblico delle cose che ho pensato, sento la responsabilità di quello che dico: sono su un palco con un microfono in mano e a mio modo ho un potere. Il messaggio che deve mandare il comico è sempre quello di cercare un altro punto di vista rispetto alle cose che vediamo, cercare di metterci un po' di lato, ma non mandare un messaggio positivo, non siamo dei preti. Se andiamo al mondo della stand up americana tutti i comici più famosi sono quelli che dicono delle cose controcorrente e trasgressive. In Italia, invece, negli ultimi anni stanno diventando famosi comici che non parlano di niente e propinano una noiosissima aneddotica personale. Se non parli di niente nessuno si può offendere. Io mi diverto a destrutturare tutte queste regole imposte. I miei confini li detta la legge e il patto sociale che ho accettato per stare al mondo. Per il resto provo a scassare tutto, che poi è quello che mi diverte di più». 

Come vede la sua comicità in un contesto come quello di Sanremo? 
«Alcune isterie su dei termini che vengono utilizzati derivano dal fatto che spesso e volentieri è stata fatta una comicità facilona, che insultava delle categorie marginalizzate. La difficoltà del comico è cercare di stare a cavallo tra queste due cose. Ricordo che Angelo Duro l'anno scorso faceva la lode alle prostitute. Io se dovessi fare un elogio alle prostitute mi sentirei in colpa, perché non vogliono in alcun modo mandare un messaggio positivo, ma tantomeno mandare un messaggio così negativo. Il punto è che dietro la satira è necessaria molta riflessione da parte di chi la fa». 

Una mia grande curiosità è se ha visto The Ferragnez: Sanremo Special”. 

«Sono riucito a reggere venti minuti. Una cosa che dirò in Cabaret è che il male mi attira. Quando c'è qualcosa di brutto ho la perversione di guardarlo. Mi sono sforzato, ma mi sono subito rotto i coglioni, è troppo noioso. Chiara Ferragni è un'imprenditrice, è riuscita ad entrare in un programma in cui non c'entra nulla, la stampa nella grande maggioranza dei casi l'ha fatta anche passare come quella che lancia messaggi positivi, c'è solo da dire che culo ho avuto nella vita e invece piange». 

Il racconto del benessere annoia?
«Negli ultimi anni, cosa mia successa nella storia della comicità, comici ricchi di famiglia stanno diventando popolari. Ma io dico: se tu sei cresciuto a Lugano, ma cosa mi devi raccontare della vita? Si parla tanto, per esempio, di Woody Allen, il comico borghese. Innanzitutto Woody Allen è nato povero e ha fatto i soldi presto e poi non è interessante perchè racconta il mondo di Manhattan, New York, etc, ma perché è un pazzo da legare. Alla comicità sta succedendo quello che è successo alla trap: all'inizio c'erano i figli di papà che facevano finta di fare i criminali, poi sono arrivata i criminali veri che, giustamente, se si deve parlare di strada, hanno qualcosa in più da dire. La comicità è da sempre l'arte degli ultimi. La vita borghese leviamola dai palchi».

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