«Casamicciola, io vigile del fuoco a mani nude nel fango per cercare i dispersi»

L’ispettore dei vigili del fuoco: un dolore trovare quel corpicino di 20 giorni senza vita

Lucio Landinetti
Lucio Landinetti
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 12 Dicembre 2022, 23:09 - Ultimo agg. 14 Dicembre, 15:04
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«La parte più complessa in ogni missione del genere è ritrovarsi tra le braccia il corpo di un bimbo, in questo caso persino di un neonato di poco più di 20 giorni. Naturalmente le emozioni sono state forti, ma il mio compito era spronare i colleghi ad andare avanti perché il lavoro non era terminato e bisognava dare dignità a questi corpi per restituirli ai loro familiari. Certo, siamo pur sempre degli esseri umani e le tracce di ciò che ho visto in quei giorni ti restano dentro sempre». Lucio Landinetti è l’ispettore dei vigili del fuoco, responsabile operativo regionale del team Usar (Urban search and rescue) della Campania. È stato impegnato nelle ricerche a Casamicciola sin dalle primissime ore dopo la frana dello scorso 26 novembre. La sua mente corre sempre a quando lui e i suoi colleghi hanno dovuto tirar via dal fango i cadaveri dei quattro bimbi, quando con dei piumoni e delle lenzuola cercavano di proteggere dagli zoom delle telecamere e delle macchine fotografiche i corpicini ritrovati. «L’unica carezza che possiamo ancora fare a quei bimbi in questi casi - dice Landinetti - è preservare almeno quei corpi dalla vista dei teleobiettivi». Quasi 15 giorni trascorsi a scavare nella speranza di ritrovare qualcuno dei dispersi ancora in vita. 

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In cuor suo la speranza c’era o si trattava comunque di una missione impossibile?
«La speranza in questi casi c’è sempre per questo facciamo una corsa contro il tempo. A Sarno - dove pure sono stato impegnato nelle ricerche - si riuscì a trovare uno dei dispersi ancora in vita. Ci attacchiamo alla speranza che chi è stato travolto possa aver trovato spazio in qualche intercapedine, una sorta di camera d’aria per continuare a respirare».

Con lei, oltre ai suoi colleghi, c’erano sul posto anche i familiari delle vittime. Come si gestisce il rapporto con chi teme di aver perso un proprio caro e, nel frattempo, teme l’esito più nefasto?
«I familiari sono stati di grande aiuto, sono una fonte importantissima di informazioni perché conoscono la ripartizione delle stanze e possono aiutarci ad individuare le zone di ricerca. Con noi c’è stato per più giorni Piero, il fratello di Gianluca Monti che è deceduto con la moglie e i suoi tre figlioletti di 15, 11 e 6 anni. Ha pianto sulle spalle di noi vigili del fuoco quando abbiamo ritrovato i corpi. Avrei voluto essere presente ai funerali, ma in questi casi si rispetta la decisione dei familiari di aver voluto una cerimonia privata. In quei momenti si crea un’empatia fortissima che è difficile spiegare con semplici parole. Lo stesso è avvenuto anche con il compagno dell’ultima dispersa ritrovata, Mariateresa Arcamone».

Anche lui è stato lì con voi?
«Il fidanzato di Mariateresa è stato presente tutti i giorni e ci ha aiutato con tutte le proprie forze. Mariateresa gli aveva lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica per lanciare l’allarme, erano le 5.11 minuti, mentre la frana era cominciata alle 4.50. Lei aveva capito cosa stava accadendo e l’istinto l’ha portata a mettersi in fuga, quindi abbiamo trovato il suo corpo più a valle mentre il suo cellulare, anche dopo giorni, continuava a squillare quando telefonavamo. La disperazione che mi assale ancora adesso è che se Mariateresa non si fosse messa in movimento forse oggi sarebbe salva, la sua camera da letto l’abbiamo trovata intatta. Se fosse rimasta lì probabilmente ora starebbe abbracciando ancora il suo compagno». 

Ha sentito più i familiari delle vittime?
«Non ora, va rispettato il loro dolore, non vorrei essere invadente. A me, come a tanti miei colleghi, bastano gli abbracci che ci siamo dati in quei frangenti di disperazione».

Qual è stata, da un punto di vista tecnico, la fase più complessa delle ricerche?
«Quella iniziale. Sulla strada c’erano massi talmente grandi che non potevamo portare nella zona di via Celario mezzi e strumentazioni, in un primo momento i massi li abbiamo spostati con l’aiuto di un palanco manuale. Abbiamo scavato a mano e con i badili, cercando di liberare i tappi creati dal fango che offuscano l’olfatto dei cani, che sono sempre indispensabili in questi casi. La difficoltà con le frane, a differenza dei terremoti, è che gli edifici vengono traslati a diversi metri di distanza, si girano e capovolgono quindi è difficile orientarsi, soprattutto nel fango. Ci si aggrappa all’esperienza e, purtroppo, in 25 anni di servizio - da Sarno al sisma in Abruzzo e in quelli del Centro Italia - ne abbiamo viste tante». 

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