Come dare più occupati al Sud

di Carlo Borgomeo
Domenica 12 Settembre 2021, 23:12 - Ultimo agg. 13 Settembre, 06:03
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Nei giorni scorsi, in occasione della pubblicazione di uno studio di Confcommercio è stata nuovamente richiamata l’attenzione dell’opinione pubblica sulla fuga dei giovani dal Sud, grave fenomeno sul quale, peraltro, da tempo la Svimez fornisce dati puntuali ed allarmanti. Fuga di “cervelli”, ma non solo. Sembra che intere generazioni di giovani meridionali abbiano accolto il drammatico invito di Eduardo De Filippo ai napoletani ;“fuitevenne!”. Anche se per amore di verità va ricordato che quella frase fu pronunciata dal grande Eduardo in un particolare momento.

Quando lentezze, resistenze e vincoli burocratici gli impedirono di realizzare il progetto cui teneva molto della costituzione di un Teatro stabile a Napoli. Bisogna in ogni caso registrare che da molti anni vi è un flusso costante e consistente di emigrazione giovanile verso l’estero, ma anche verso le regioni del Nord, con un effetto evidente sul processo di invecchiamento della popolazione meridionale. Questo costituisce una grave ingiustizia ed anche un immenso danno per l’economia meridionale. Il Mezzogiorno si fa carico della formazione dei giovani e questo investimento dà i suoi frutti altrove; in molti casi, le famiglie devono, almeno nella fase iniziale, sostenere il reddito dei giovani con un paradossale trasferimento di risorse, anche economiche, dal Sud. Ma, soprattutto, si priva il Mezzogiorno di prezioso capitale umano, in molti casi di pregiatissimo capitale umano che è, come tutti sappiamo, la vera, decisiva, risorsa per lo sviluppo dei territori. Tutto questo è noto e ce lo ripetiamo continuamente e, per certi versi, senza grande speranza che le cose possano cambiare: anzi nei comportamenti e nelle aspettative delle famiglie si lavora perché i giovani possano andare a studiare e a lavorare “fuori”. Alla domanda su che cosa si può fare per contenere il fenomeno viene data “in automatico” una risposta ovvia, giusta, ma con ogni evidenza, inutile sul piano delle scelte concrete ed immediate: si riusciranno a trattenere i giovani al Sud quando vi sarà un adeguato sviluppo economico e sociale che consentirà la creazione di sufficienti opportunità di lavoro. Questa affermazione, come si dice, non fa una piega.

Ma non serve a cambiare le cose, anzi spesso, secondo la nota cultura del “benaltrismo”,  cui noi meridionali siamo particolarmente affezionati, ci porta a sottovalutare le tante iniziative che potrebbero contribuire, in modo non marginale, a contenere il fenomeno.  Se si riuscisse ad avere un approccio più “realistico” si darebbe più peso alla denuncia di molte imprese, meridionali, che segnalano la mancanza di migliaia di lavoratori qualificati e specializzati e si interverrebbe con maggiore decisione, anzi con una certa radicalità, per innovare il sistema di formazione professionale; si ascolterebbe con maggiore attenzione il mondo delle produzioni artigianali di alta qualità, per il quale, nei prossimi anni si prevedono fabbisogni di manodopera specializzata dell’ordine delle centinaia di migliaia; si guarderebbe con maggiore attenzione alle potenzialità occupazionali del Terzo settore; si utilizzerebbero di più e meglio meccanismi di incentivazione al lavoro microimprenditoriale, utilizzandoli di più per  regolarizzare e qualificare le mille forme di lavoro sommerso; si analizzerebbe e si incoraggerebbe il fenomeno del South Working: in attesa di trasferire il lavoro al Sud, intanto trasferiamo i lavoratori che arricchiscono, comunque, i territori;  utilizziamo di più i centri di ricerca e le università per attrarre cervelli dal Nord e dall’estero ( come Fondazione Con il Sud abbiamo esperienze assai positive al riguardo).L’elenco delle possibili opportunità potrebbe continuare richiamando settori e territori specifici ed evitando di limitarsi ad invocare interventi “ complessivi e risolutivi”.

Questa logica dovrebbe caratterizzare di più le cosiddette politiche attive del lavoro, quelle politiche che partono proprio dal presupposto che, in attesa di un sufficiente sviluppo del sistema, sia possibile creare occasioni di lavoro promuovendo una forte qualificazione dell’offerta di lavoro e individuando spazi in cui si possono manifestare nuove opportunità.

L’ultimo intervento in tal senso non è andato bene: mi riferisco al reddito di cittadinanza. Come avevamo paventato, la discussione è ormai tutta ideologica; per alcuni metadone di Stato, per altri misura sacrosanta di civiltà. Gli uni e gli altri dovrebbero semplicemente affermare che la misura va mantenuta, con alcuni aggiustamenti suggeriti dall’esperienza e soprattutto separando l’obiettivo della lotta alla povertà da quello del lavoro. Come pure, onestamente va detto che andranno rivisti i criteri con cui sono impostati i Centri per l’impiego, ancora troppo legati ad una cultura e ad una prassi “pubblica” che risultano di una qualche utilità solo quando si ha la fortuna di incontrare personale particolarmente preparato e motivato. Il Ministro Orlando ha presentato il programma Gol ( Garanzia di occupabilità per i lavoratori) programma che stanzia 4,9 miliardi in un quinquennio puntando alla fascia più precaria di disoccupati o inoccupati. Anche nel passato vi sono stati programmi specifici, ad esempio Garanzia giovani che, peraltro, non ha dato i risultati sperati. In ogni caso bisogna insistere su una pluralità di interventi e di politiche; bisogna assicurare una maggiore flessibilità all’intero sistema di governo del mercato del lavoro; bisogna soprattutto ripensare il ruolo dei Centri dell’impiego ( ed anche dei navigator!)   realizzando strutture territoriali con un maggior grado di flessibilità e di autonomia. A queste condizioni i risultati verranno: risultati all’inizio modesti, ma poi progressivamente più consistenti. 

E così potremo rendere più attrattivi per i giovani i nostri territori: i meridionali potranno scegliere se andare via o no; i non meridionali potranno decidere di venire al Sud, aumentando un flusso piccolo, ma sempre più consistente di controemigrazione. 

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